LA POLVERIERA TUNISIA MANDA IN MARE PURE I PIRATI

Ci sono i corsari, ci sono i pirati, anche i pirati della Malesia e i pirati dei Caraibi, e poi ci sono pirati dei migranti. Sono i pirati a impatto zero, quelli che rubano poco o niente, quel poco niente che trovano a bordo, e quelli che rubano nella terra di nessuno dove ogni uomo è nessuno, almeno fino alla prossima vita.

Che pasticcio la Tunisia e che pasticcio i blandi accordi dell’Unione Europea sulla questione dei migranti, accordi tutti teorici perché poi nessuno sa come e se si possa o si voglia applicarli.

Accordi che sulla carta finanziano e danno potere a una nazione e a un leader inaffidabili, certo più dittatura che democrazia. La rivoluzione dei Gelsomini, forse la prima protesta della primavera araba, questo ha partorito purtroppo, un Paese che calpesta continuamente i diritti umani e che nei fatti prende a calci nel sedere, quando va bene, ogni migrante che transita da quelle parti, a maggior ragione se subsahariano o asiatico, per gli integralisti minaccia di sostituzione etnica e quindi rifiuti di cui liberarsi al più presto e certo senza carezze.

I campi profughi tunisini sono lager a tutti gli effetti, ma l’unione europea, Italia in testa, riesce a essere cordiale e compiacente, con quale speranza e obiettivo non è chiaro. Non è chiaro in un Paese come la Tunisia e con un dittatore come Saied, che riscrive la Costituzione a suo piacimento, taglia e cuce una legge elettorale a misura sua, manda a casa i magistrati come gli pare e piace e come gli fa comodo. Chi non è d’accordo viene energicamente zittito, la libertà di stampa è un pensiero esotico, roba da carbonari e stamperie clandestine.

In tutto questo i tunisini cosa dicono, cosa fanno? Se è vero che solo il 10 per cento della popolazione si è presentato alle ultime elezioni, deve pur esserci un novanta per cento che non ci sta, anche se non può o non vuole ammetterlo, oppure che oscilla nell’indecisione o semplicemente deve pensare a sopravvivere e a mettere assieme i soldi per partire, andarsene, attraversando il Mediterraneo.

Molti tunisini partono in effetti, almeno 5000 quest’anno, fino ad ora, sui barconi cigolanti come tutti gli altri, con il rischio di imbattersi in qualche loro connazionale che nell’indecisione ha scelto la via dell’infamia e dello squallore disumano.

Proprio loro, i tunisini pirati dei migranti. Cosa c’è di più facile che infierire sul più debole, su quello che nulla ha da perdere, se non la vita? È così facile, ti accosti, sali a bordo e parti con le minacce. Fuori i soldi, fuori i telefonini e prima di andarcene ci portiamo via anche il motore, il fuori bordo è pure facile staccarlo.

E voi tutti andate a farvi benedire, perché ne avete bisogno, e pregate di non incontrarci di nuovo.

In realtà un po’ di cuore queste simpatiche canaglie ce l’hanno, un cuore nazionalista, che risparmia i connazionali, o le barche con a bordo tunisini.

La bandiera, come si vede, resiste, ma il pasticcio c’è e si vede, un frullato avariato e imputridito che dal presidente ai pirati mischia tutto e sparge acredine ovunque. Tutti paiono sentirla, tranne i governanti europei, e la sensazione è che il fantomatico memorandum sia una bella mano di vernice per mostrare che qualcosa è stato fatto. Che ci hanno provato, ma loro per primi sanno che non servirà a nulla. All’Europa poco importa, un’alzata di spalle e via con un altro accordo, all’Italia al solito – la geografia è impietosa -, toccherà la scossa più forte, l’impatto e l’emergenza.

Viva l’Europa, l’Italia e la Tunisia ad ogni modo, amici come prima e alla prossima.

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