PIVETTI, TUTTO E IL CONTRARIO DI TUTTO

di ARIO GERVASUTTI – La sciura Irene Pivetti da Milano è l’immagine vivente di una contraddizione. L’ultima (dis)avventura che la vede protagonista è una sintesi perfetta di una vita in cui c’è tutto e il contrario di tutto. Di che cosa potrebbe occuparsi, infatti, una società che si chiama “Only Italia Logistics”, “Solo Italia Logistica” per chi non mastica l’inglese? Ma è ovvio: di importazioni dalla Cina. Non è illegale, sia chiaro; e le inchieste che riguardano il contratto da 30 milioni di euro con il governo italiano per la fornitura di mascherine potrebbero tranquillamente finire in un nulla di fatto. Un film già visto troppe volte su questi schermi, materia buona per giustizialisti con la sentenza in una mano e dietrologi con l’assoluzione nell’altra. Ciò che interessa qui è rilevare la personalità multipla di una donna che ha dovuto reinventarsi molte vite.

La prima, fino alla soglia dei 30 anni, l’aveva vista crescere in una famiglia dedita allo spettacolo: il padre, Paolo, è un regista, mentre la madre, Grazia Gabrielli, è un’attrice come diventerà la sorella di Irene, Veronica. E in quest’ambiente istrionico che fa la nostra? Si laurea con il massimo dei voti in Lettere con indirizzo filosofico all’Università Cattolica Sacro Cuore di Milano. Roba da suora. Rigorosa al punto da sembrare austera, con una croce della Vandea perennemente appesa al collo pudicamente coperto da foulard, sembra ispirarsi a una Rosy Bindi con una permanente più azzeccata. Non a caso il primo passaggio pubblico lo compie militando in un’associazione cattolica come l’Acli. Eppure sotto la cenere qualcosa deve covare se nel giro di un paio d’anni si ritrova più a suo agio in quella gabbia di celoduristi ingrifati guidati da Umberto Bossi, che si inventano per lei il ruolo di “responsabile della consulta cattolica” di un partito dove la bestemmia era sostanzialmente un intercalare, un apostrofo rosa tra le parole “Roma” e “ladrona”. L’anima pulita e presentabile in mezzo ai 300mila ribelli bergamaschi in armi pronti secondo l’Umberto a scendere dalle valli per spazzare via il Sistema.

Talmente pulita che, trascinata non dalle armi ma dai voti, si ritrova eletta deputato a 29 anni nel biennio di Tangentopoli: 1992-1994. Le elezioni successive stravolgono il parlamento e nel gioco della spartizione la poltrona di Presidente della Camera tocca alla Lega. Problema: chi ci mettiamo, posto che pochi tra gli eletti hanno una cravatta e tra quei pochi nessuno sa farsi un nodo decente? Soluzione: ci mettiamo qualcuno che non ha bisogno di usare la cravatta, basta un foulard.

Così Irene si ritrova a 31 anni la più giovane presidente della Camera nella storia della Repubblica. E lei si cala nella parte in modo totalitario, tailleur severissimi e zero sorrisi, una Nilde Iotti cattolica e irraggiungibile. D’altra parte deve dedicarsi solo a quello, perché la vita privata è a zero da almeno tre anni, da quando è finito il matrimonio con Paolo Taranta, sposato nel 1988. Il motivo? Lei non vuole assolutamente avere figli: la Camera che le interessa non è quella nuziale. Chiede e ottiene velocemente l’annullamento al Tribunale della Sacra Rota.

Il guaio è che quando arrivi in alto così giovane, poi giunge il momento in cui ti guardi indietro e scopri che forse ti sei persa qualcosa. E il momento per Irene arriva quando dopo due anni la Lega va all’opposizione e le Camere si sciolgono. Addio scranno, addio foulard. Che fare a 33 anni? Innamorarsi e divorziare ancora. L’amore è per un venticinquenne (toy boy direbbe qualcuno, ma lei non è certo una carampana), tale Alberto Brambilla con il quale riscopre l’altra camera (no, non il Senato) e nascono due figli. La separazione invece è da quella Lega che prima le ha dato e poi le ha tolto tutto. Si fa rieleggere, ma tre mesi dopo fonda un suo partito (Italia Federale) che in breve confluisce nell’Udeur. Da Bossi a Mastella, che è come passare dalla curva dell’Inter al tifo per il Milan. Non si sa fino a che punto ci sia il Brambilla dietro questa sua conversione: lui oltre che marito ora è anche suo manager, e quando la carriera politica inevitabilmente finisce (un’interista nella curva del Milan non può sperare di cavarsela a lungo…) il richiamo della famiglia si fa sentire. La famiglia d’origine, sia chiaro: quella tutta palcoscenico e televisione.

Si rasa i capelli a zero, si fa fotografare inguainata da strisce di latex modello Catwoman e conquista la conduzione di non memorabili trasmissioni televisive Mediaset: “Bisturi! Nessuno è perfetto”, “La giuria” e “Fa’ la cosa giusta”. Ma quale sia la cosa giusta per lei, Irene non l’ha ancora capito. Dopo il foulard e la croce vandeana, dopo la Lega e l’Udeur, dopo il frustino sadomaso e le telecamere, lascia anche il Brambilla. I capelli rasati a zero ricrescono con tonalità brizzolate. Probabilmente ispirata da Nanni Moretti (“Faccio cose, vedo gente…”) diventa testualmente “consulente in strategie di sviluppo, valorizzazione risorse e relazioni istituzionali per imprese di diversi settori (infrastrutture, telecomunicazioni, ricerca scientifica e tecnologica, sanità, agricoltura biologica, internazionalizzazione, made in Italy)”. Dieci anni fa fonda la rete di imprese Only Italia “per la promozione del made in Italy in Cina”. Che oggi si traduce nella promozione delle mascherine made in Cina per l’Italy. Tutto e il contrario di tutto. E adesso si ritrova messa in croce: ma non è quella che indossava in una delle sue tante vite. Quasi quasi era meglio il foulard.

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