Papa Francesco, nel libro-intervista scritto dal giornalista Javier Martinez-Brocal, ha rivelato alcuni particolari del conclave del 2013, durante il quale egli fece riversare i suoi voti su Ratzinger per evitare la nomina del “candidato della curia” (Forse Scola? Ma anche Ratzinger era della curia, ma lasciamo perdere).
Di fronte alle rivelazioni di Papa Francesco si sono lette, nei giornali di questi giorni, alcune singolari prese di posizione. Ne troviamo due significative sul solo “Corriere della Sera”. Massimo Gramellini, nel suo “il caffè”, trova normale che il papa voglia parlare di sé: “Siamo tutti un po’ Ferragnez”, concede benignamente Gramellini. Solo che la concessione benigna è per preparare la critica che segue subito dopo. “Rimane il dubbio se una fede, che si nutre di mistero, possa mantenere intatta la sua presa su un mondo come questo, dove il mistero e persino sua sorella minore, la riservatezza, sembrano diventati anacronistici per tutti”.
Poche pagine più avanti, dice la sua anche Massimo Franco. “L’impressione è che le parole di Francesco tolgano qualcosa all’alone di sacralità intorno alle votazioni nella Cappella Sistina”.
Singolari le coincidenze di linguaggio delle due illustri firme del giornalismo italiano. A Gramellini viene il dubbio, a Massimo Franco l’impressione. Tutti e due lamentano che le esternazioni di Francesco tolgano qualcosa al mistero (Gramellini) o all’alone di sacralità (Franco) dei conclavi che eleggono i papi.
Ora, è vero che la fede si nutre di mistero, ma il mistero di cui si nutre la fede non è quello che riguarda le votazioni dei conclavi. A Gesù morto e risorto do la mia fede. Alle manovre e agli intrallazzi (e di intrallazzi nei conclavi del passato ce ne sono stati tanti) non sono obbligato a riversare la mia fede. Anzi, è meglio non metterla a rischio investendola in un mistero siffatto. E l’aura di sacralità di cui parla Massimo Franco è provvidenziale per ogni espressione di fede. Ma è quella, vivissima, della liturgia, non quella delle porte chiuse della Sistina.
Ecco. I grandi giornalisti laici trasferiscono il mistero cristiano dal cuore alla periferia, dalla morte e risurrezione del Cristo, ai segreti del Vaticano. Ma questi – i segreti del Vaticano – si vedono e si verificano: si scrive un’infinità di articoli e i giornalisti possono dare prova della loro maestria. Quelli – la morte e risurrezione del Cristo – non si vedono e, se vogliamo essere precisi, non si verificano neppure. E se ne parla poco. Pochissimo. Ma questi “salvano”, quelli no.
Semmai, ci sarebbe un’osservazione opposta che si potrebbe fare a papa Francesco. Se i segreti dei conclavi si possono rivelare, perché non rivelarli fino in fondo? Ecco, se noi, nel nostro piccolo, nel nostro piccolissimo, desideriamo qualcosa, è che i risultati dei conclavi siano resi tutti coraggiosamente pubblici.
Non si vogliono mettere in piazza scontri e dibattiti? Giusto. Esiste la metodologia delle “riunioni a porte chiuse” che tutte le istituzioni democratiche conoscono. Poi però i risultati delle elezioni e, magari, anche qualcosa del dibattito che le ha fatte maturare, si pubblica, con coraggio. Ai fedeli di tutto il mondo si dice e si ripete che l’elezione del Papa è cruciale, si prega, ci si appassiona. Resta strano che di tutto quell’evento il popolo di Dio sappia solo quello che si proclama con l’habemus papam dalla loggia delle benedizioni, dopo una fumata dal camino, a evento concluso e rimasto rigorosamente segreto.
Ecco. Questo troviamo strano. Non che papa Francesco abbia parlato, ma che abbia parlato così poco e, soprattutto, che non abbia cambiato le regole d’altri tempi che governano i conclavi.