IL FALSO PROBLEMA DEL MES (GUIDA PRATICA PER CAPIRE LA BATTAGLIA)

A volte capita che fra le istituzioni, come fra le persone, nascano dei dissidi o delle discussioni sul nulla, magari solo per un malinteso.

È il caso del dialogo fra sordi fra l’Italia e l’Europa sul Mes, il meccanismo di stabilità finanziaria altrimenti detto “salva-Stati”. Gli altri 18 membri hanno già ratificato la riforma dell’istituzione fondata nel 2012 per aiutare alcuni Paesi in difficoltà con il loro debito pubblico. Il caso che più ricorderete è la Grecia, che dovette sottostare ai diktat della Trojka (scusate la cacofonia), ma anche Irlanda, Spagna, Portogallo e Cipro vi hanno fatto ricorso. L’Italia no, perché pur avendo gli stessi guai degli altri, preferì risolverli da sola piuttosto che conformarsi alle severe ricette provenienti dall’Europa. La quale chiede che, in cambio degli aiuti, si adotti una politica fiscale molto rigorosa e si attuino alcune riforme. Un impianto non difforme da quello sottostante al PNRR: vi diamo una valanga di soldi, parte in dono e parte a prestito, però dovete fare la riforma della giustizia, rivedere il catasto, eccetera. Molti ritengono che queste cosiddette “condizionalità” siano una limitazione della sovranità di un Paese, un’ingerenza delle autorità di Bruxelles nelle libere scelte di una nazione. Un punto di vista in astratto condivisibile, ma in concreto pressoché irrilevante, e vi spiego il perché.

Quando sei indebitato, che tu sia un’impresa o uno stato, i casi sono due: sei solvibile, o almeno lo appari, oppure no. Nel primo caso non hai problemi: gestisci la tua azienda o governi la tua nazione come meglio ritieni e i creditori non ti dicono nulla. Ma se sei in difficoltà, allora hai bisogno della clemenza dei creditori o del sostegno di un terzo che venga in tuo soccorso. È normale che questi per accordare il loro aiuto ti facciano delle richieste: moderare la spesa, garantire il debito residuo con i tuoi beni personali o altro.

Anche il Mes prevede che i Paesi che vi fanno ricorso accettino le “condizionalità” che volta per volta verranno individuate come più adatte al caso specifico. Ma c’è di più. La riforma da ratificare prevede anche che per avere accesso al Mes tu debba avere tenuto un comportamento virtuoso anche in passato: infatti possono richiederlo solo i Paesi in linea con alcuni rigorosi parametri di finanza pubblica. È facile intravvedere qui l’approccio di alcuni Paesi centro e nordeuropei: non vogliamo pagare per le cicale del Mediterraneo. Si tratta di un pregiudizio, certo, ma è difficile da smontare. Nella visione di chi è contrario al Mes, invece, si tratta di un’ulteriore limitazione, addirittura preventiva, della sovranità.

Così descritte, le posizioni sembrano inconciliabili. Ma a ben vedere la questione è ben più semplice e meno divisiva di quanto appare. Innanzitutto perché la richiesta di ricorso al Mes deve provenire dallo Stato interessato e non può essere imposta dall’Europa. E infatti nel 2012 l’Italia non lo utilizzò, così come continua a proclamare che mai lo farà. Dov’è il problema allora? Forse nel fatto che l’Italia dovrebbe contribuire per oltre il 15% ai 750 miliardi di dotazione del Mes? Ben più di 100 miliardi sono una bella cifra. Ma non è questo il punto, perché si tratta di un massimale teorico, di improbabile utilizzo, cui si ricorrerebbe solo in casi estremi. Dovrebbe trattarsi di una crisi davvero gravissima, di fronte alla quale comunque non potremmo tirarci indietro.

Allora forse la contrarietà sta in un altro passaggio della riforma: il Mes potrà servire anche per intervenire nel salvataggio di sistemi bancari in default. Questo si rende necessario per la lentezza con cui si sta implementando il sistema comune di tutela dei depositi bancari, questa volta per colpa dei tedeschi e dei loro amici. Il rischio bancario e quello del debito pubblico, si sa, sono strettamente intersecati, come ci insegna l’esperienza dell’inizio del decennio scorso, quando si parlava dei “rischi gemelli”. Ma a noi potrebbe anche convenire avere un sistema di “back stop”, cioè una riserva a fronte di eventuali – oggi imprevedibili – crisi bancarie. Quindi neanche questo è un vero problema.

Ma davvero il Mes sarà chiamato a intervenire nelle modalità che i suoi regolamenti oggi prevedono, imponendo le “condizionalità” di cui sopra? Al momento non si vedono focolai di crisi che lo possano richiedere, ma è saggio predisporre i meccanismi di difesa prima che i pericoli si concretizzino.

L’esperienza ci dice che le crisi più gravi si affrontano con schemi di intervento nuovi, disegnati sul caso specifico: non puoi affrontare il problema di Cipro, per fare un esempio, come quello dell’Italia, che ha il quarto debito pubblico al mondo per dimensione. Ecco perché il trattato del Mes resterebbe lettera morta e, nell’improbabile eventualità, si dovrebbe inventare un approccio diverso. Con il suo corredo di “condizionalità”, di impegni e garanzie, ovvio.

Quindi, paradossalmente, si potrebbe firmare con assoluta tranquillità nella relativa certezza, o la riserva mentale, di non doverlo mai utilizzare. A volte i dissidi fra le istituzioni, come fra le persone, nascono dalla difficoltà di fare marcia indietro rispetto a posizioni forti assunte in passato. Oppure le posizioni preconcette servono come arma di negoziato su altri fronti.

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