I 40 ANNI DEL CINEPANETTONE: E’ L’ITALIA DEFORME DI OGGI

Tempo e nostalgia lavorano insieme come un’affiatata coppia di ladri. Con pazienza e grimaldello riescono a sbloccare serrature ostinate e convinzioni granitiche.

A questa coppia di professionisti si è affidato Enrico Vanzina, impegnato in questi giorni nei festeggiamenti per un’importante ricorrenza: giusto quarant’anni fa usciva il primo “cinepanettone” girato con l’inseparabile fratello Carlo, morto nel 2018, film intitolato “Vacanze di Natale”. Doveva essere un’appendice invernale di “Sapore di mare”, grande successo giocato sulla battigia, e invece fu il colpo di piccone che scoprì una vena aurea: la commediaccia natalizia tutta risate e sberleffi che, affidata in particolare a Christian De Sica, anno dopo anno raccolse montagne di denaro al botteghino.

Ma perché mai Vanzina dovrebbe affidarsi a tempo e nostalgia? “Vacanze di Natale” incassò quasi 3 miliardi di lire (fate voi la conversione in euro), le battute disseminate per il film sono ripetute ancora oggi (soprattutto quella affidata a Riccardo Garrone, che nel brevissimo discorso al desco natalizio dismette il rito laico con poche ma efficaci parole) e generò una serie fortunatissima, lanciando nel contempo nuovi volti comici e inedite presenze sexy. Dunque, che cosa mai sarà rimasto da recuperare e da rivalutare?

Al solito: il giudizio dei critici. Che arranca sempre nella parte arretrata del gruppo ma che alla fine emette il verdetto storico, ovvero consegna un evento di costume alla memoria sociale più consolidata. E il giudizio sui cinepanettoni è sempre stato piuttosto severo: battute grevi, caratterizzazioni approssimative, regia di maniera e recitazione abborracciata. E’ vero che fin dal primo capitolo i cinepanettoni ci hanno regalato caratteristi calati in personaggi azzeccatissimi (come il milanese Guido Nicheli: “Via della Spiga-Hotel Cristallo di Cortina 2 ore, 54 minuti e 27 secondi. Alboreto is nothing”), ma insomma qualcuno se la sentiva di riaprire la bacheca della commedia all’italiana più celebrata per inserire, accanto a “Il sorpasso”, “I soliti ignoti” e “Una vita difficile”, anche “Natale a Miami”?

Forse no, forse neppure oggi sarebbe ammessa un’operazione del genere. Ma se, come detto, ci affidiamo a tempo e nostalgia (che, ricordiamo, seppero consegnare Totò all’olimpo della comicità mondiale quando la critica sua contemporanea lo ignorava completamente), allora tutto è possibile. Perfino riconoscere, come è stato fatto in questi giorni da fonti autorevoli, che “Vacanze di Natale” e i suoi pseudo-sequel seppero a loro modo anticipare la realtà di oggi, proprio in virtù delle caratteristiche che a lungo li hanno fatti disprezzare dalla critica.

Quei ritratti distorti di italiani arroganti, ignoranti, dalle pance piene e dal cervello vuoto sono diventati ritratti viventi: le antenne dei Vanzina avevano captato un segnale proveniente dal futuro e va dunque apprezzata la loro abilità nel registrarlo e nel presentarlo al pubblico. Si dirà: anche allora volgarità e ignoranza non mancavano, ai due cineasti non rimase che amplificarle. Aver ottenuto in anticipo un perfetto ritratto dei nostri tempi non sarebbe dunque che una conseguenza involontaria dell’automatico degrado dei costumi. Forse, ma questo processo testimonia ancora una volta che la commedia, ovvero la comicità, è un potente strumento di analisi, tanto più efficace in quanto spontaneo e per nulla autoreferenziale.

Non resta da chiedersi quale film di oggi tra quarant’anni potrebbe essere letto come profetico. Lo sapessimo potremmo guardare il nostro futuro come da una finestra, anzi da un fotogramma. Il sospetto è che questo film non esista: la commedia di oggi si ferma troppo spesso alla soglia del politicamente corretto, per poter sviluppare capacità divinatorie. Non che tale atteggiamento formalmente rispettoso fermi la volgarità, anzi. Solo, ci impedisce oggi di riderne e, domani, ci impedirà di riconoscerla come parte della nostra storia.

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