Cominciamo dalla scuola, così si capisce meglio. Il solito, ineffabile, Valditara, dei cui insuperabili skills abbiamo già avuto modo di parlare, deve aver riunito il suo Oberkommando di pensatori scolastici e, pensa che ti ripensa, questa meravigliosa squadra di cervelloni ha, finalmente, estruso un’idea strabiliante: alle elementari bisogna tornare ai giudizi sintetici. Alleluja: finalmente! Si tratta di una svolta epocale. Anzi, a dir la verità, più che di una svolta, si tratta di un rondò o, meglio ancora, di un’inversione a U. Sì, perché questi famosi giudizi erano in voga da un sacco di tempo e avevano sostituito gli odiatissimi voti: è stato soltanto sotto l’egida del Conte 2, ossia di quella congerie di intellettualoni d’alta scuola, capitanata dal nostro avvocato presidenziale, che i vecchi giudizi sono stati sostituiti dalle astruse e pressochè indecifrabili definizioni, che Valditara vuole abolire.
Cosa volete che vi dica? A me sembra la sagra del deficiente: uno che complica, l’altro che cancella, uno che giudica, l’altro che valuta e tutti che montano un casino di proporzioni bestiali. Nel frattempo, vuoi che vengano giudicati sinteticamente, analiticamente o tirando i dadi, gli studenti sono sempre più ignoranti e le loro famiglie sono sempre meno attente ai processi educativi.
Ma non è finita qui: magari lo fosse! Insorgono, alla proposta di cancellare le temibili mappazze giudicatorie, i pedagogisti: categoria, dopo gli psicologi, tra le meno considerate del pianeta. Eppure, devono dire la loro: e la loro ruota intorno a capziose argomentazioni circa il rendere edotti familiari e fanciulli sulle fasi e l’andamento del processo educativo. Insomma, una levata di scudi a favore di quei bei pistolotti, vuoti di sostanza ma elegantissimi nell’uso dello scolastichese letterario, che fanno la fortuna di chi li concepisce e la dannazione di chi li deve applicare o, peggio, di chi abbisogni di una loro decifrazione. Temono, i pedagogisti tanto sensibili, che il ritorno ai giudizi “crei ansia” nei piccoli allievi.
E siamo alle solite: cosa deve essere la scuola? Una palestra d’ardimento? Un paradiso del goloso? Un laboratorio per scienziati in vena di esperimenti? Dopo le sentenze del dottor Galimberti, dobbiamo aspettarci il gabinetto del dottor Caligari?
Ma basta, per la miseria: se proprio dobbiamo fare marcia indietro, che sia un dietrofront veramente sostanziale. Si abbia il coraggio di buttare a mare tutte le esilaranti trovate educative della canea postsessantottesca: tutta la burocrazia, le schede, i modelli da compilare, le definizioni che non definiscono, le spiegazioni che non spiegano e le valutazioni che non valutano. Facciamola finita con la scuola dei pedagogisti e dei docimologi e torniamo a una scuola in cui ci siano insegnanti che insegnano e studenti che studiano: cosa importa la formula del giudizio, se chi viene giudicato è assolto di default e non si capisce nemmeno su cosa lo si giudichi?
E, dulcis in fundo, i giudizi sintetici e più ancora gli esecrandi voti in cifre creano una terribile ansia negli studenti: il timore è che, come ne escono traumatizzati i ragazzi delle medie e delle superiori, si possano traumatizzare anche i bimbi delle elementari. Una scuola ansiogena, se mi spiego. E, allora, volete eliminare l’ansia, il trauma, la paura? Cominciate ad eliminare i pedagogisti, che su quest’ansia ci campano, come gli psicologi campano sulle diagnosi di DSA. Perchè, prima di questa ondata di psicologismo d’accatto, nemmeno si sapeva cosa fosse l’ansia da valutazione: ti beccavi il tuo voto e morta lì. Magari imparavi cos’era la fatica e cos’era il fallimento, cercando il modo di superare. Freud, sbarcando in America, pare aver detto: ci applaudono e non sanno che portiamo loro l’inferno. Ecco, ci siamo capiti.