di LUCA SERAFINI – Sono passati 77 anni da quando Alfonso Bialetti la disegnò. Da allora, più di 105 milioni di “moka” sono entrate nelle case di tutto il mondo, inondandole di profumo di caffè.
Celebro con gioia il compleanno della migliore amica, che – nella mia vita da aspirante scribacchino – da sempre interrompe (troppe volte al giorno) i tentativi reiterati e velleitari di eguagliare o scopiazzare Bruno Roghi o Voltaire.
La caffettiera è un ennesimo grande orgoglio della creatività, della tecnologia e della cultura italiana, eppure fino a stamattina sapevo poco di lei. Troppo spesso ci accade di essere ignoranti sui capolavori che contraddistinguono i nostri marchi e le nostre opere sul pianeta: siamo tendenzialmente permalosi se ci identificano come “pizza e spaghetti” (e perché non “caffè”?), ma conosciamo poco la storia di ciò per cui dovremmo andare orgogliosi. So solo che la moka è esposta sia alla Triennale di Milano che al Museo di Arte Moderna (Mo.Ma.) di New York, perché l’ho vista con i miei occhi in entrambe le città; so che devi lasciare il filtro chiuso nella macchinetta dopo aver versato il caffè, per qualche ora prima di lavarlo, perché nel tempo l’aroma continui a impregnare le pareti di acciaio e alluminio (me lo ha insegnato mia mamma); so che non devi lasciarla sul fuoco dopo l’ebollizione, se no scoppia. Tutto qui.
Allora è stato necessario documentarsi un po’: anzitutto, la moka è una sola, ottagonale. Le altre sono tutte imitazioni. Ha questa forma “per aumentare la presa in caso di superfici bagnate”, è spiegato nel design. In molti Paesi del mondo è conosciuta come “caffettiera italiana” e in Spagna semplicemente come “napolitana”. La curiosità più interessante riguarda l’etimologia, che risiede nel nome della città di Mokha in Yemen, una delle prime e più rinomate zone di produzione di caffè, in particolare della pregiata qualità arabica.
E’ scritto su Wikipedia: “Di questa qualità speciale si trova testimonianza nel capolavoro di Voltaire (non a caso…), ‘Candido’, quando il protagonista, in viaggio nell’Impero Ottomano, viene ricevuto da un ospite che, tra le altre cose, gli offre una bevanda preparata con caffè di Moca non mescolato con il cattivo caffè di Batavia e delle Antille”.
Resterebbe il segreto del suo funzionamento, ma ve lo risparmio essendo semplicissimo e rivelato in origine. Le cialde oggigiorno sono più comode e di grande qualità, ma personalmente continuo a preferire la moka per una questione affettiva e di salute: se in casa avessi una macchinetta con le cialde, berrei ogni giorno il triplo dei caffè. E, sempre per una malcelata pigrizia, considero che la moka continui a fare solo ed esclusivamente caffè: le oltre 277 variabili attualmente stimate (dal moccaccino al marocchino fino al nocciolino e via discorrendo), che hanno portato all’esaurimento nervoso di migliaia di baristi, se vuoi devi elabolartele per conto tuo.
La moka fa il caffè e basta. Corretto, macchiato, lungo, ristretto… se vuoi te lo fai da solo. Punto.
La chiudo qui, la voglia è salita incontenibile: vado a farmi un caffè. Il quarto stamattina. Maledetta moka.