GUIDARE LA SUZUKI A 91 ANNI

di GHERARDO MAGRI – Che i giapponesi siano il popolo più longevo al mondo non è una novità, così come la tradizione rappresenti per loro un solido valore tramandato da millenni. Ci ricordiamo bene il 124simo imperatore Hirohito che ha regnato per 62 anni, suo figlio Akihito per 30 e da 2 anni è il turno del discendente Naruhito, giovane sessantenne: la progressione ad accorciare la reggenza è quantomeno incoraggiante.

Possiamo tranquillamente aggiungere, oggi, che anche nelle gerarchie aziendali non si scherza affatto. Osamu Suzuki, presidente dell’omonima società motoristica conosciuta in tutto il mondo, ora 91enne, esercita i suoi poteri dal 1978. Non ho fatto ricerche in merito, ma credo sia un record assoluto. Ora si appresta a passare la mano. Con calma, però, mi raccomando.

Il tema è interessante, perché mette al centro della discussione una discriminante chiave: l’età anagrafica. Molto spesso si fa del qualunquismo spicciolo dicendo “largo ai giovani” e ci si vanta di mostrare la bassa età media della propria organizzazione. Non è sempre una scelta giusta e, soprattutto, non è una ricetta universale valida per tutte la stagioni. Non è un dogma. Bisogna saper miscelare al meglio età ed esperienza per indirizzare le energie e saper valutare bene i rischi.

Alcuni settori richiedono per definizione specifiche conoscenze che non possono essere assorbite in tempi ragionevoli e allora è meglio comprarle dall’esterno, inserendo team già formati e operativi. Escludo dalla discussione le “silicon valley company”, che per definizione sono un mondo a parte. Parlo di quelle realtà più tradizionali molto diffuse che devono affrontare i cambiamenti. I giovani sono richiestissimi e indispensabili nel settore digitale, che ha radicalmente rivoluzionato abitudini consolidate e per certi versi desuete. La trasformazione è sotto gli occhi di tutti, ma nelle aziende è addirittura violenta. Per competere in alcuni mercati devi attrezzarti per non rimanere indietro, e devi farlo in fretta.

Questo però non significa automaticamente delegare responsabilità e visione a gruppi non ancora integrati con gli altri. Il rischio di avere “silos verticali” dentro l’azienda è molto alto e la trappola è pronta a scattare. Ecco che allora ci vogliono manager con i primi capelli bianchi, in grado almeno di capire i nuovi linguaggi e che facciano da ponte tra il presente e il futuro. I cambiamenti, sia pur drastici, devono essere comunque metabolizzati e bisogna assicurarsi che tutti vadano nella stessa direzione.

Certamente i (bravi) giovani vanno incoraggiati e fatti crescere con buone prospettive, anche se il cosiddetto “piano di carriera” non esiste più da tempo, perché non si riesce più a promettere niente a nessuno, visto l’incertezza dominante. Meglio preparare i piani di successione, con l’obiettivo di attrezzare una panchina all’altezza per i cambi, quando sarà necessario. Guai a chi smorza i talenti per difendere la propria poltrona: roba da prima repubblica, chi si comporta ancora così è destinato a fallire. Le migliori risorse vanno allevate e formate comunque e si deve mettere in conto che se ne possano andare: è  più importante avere persone motivate in azienda magari a tempo determinato piuttosto che avere fedeltà eterna da colleghi che hanno smesso di crederci.

Dove non è strettamente necessario il giovanilismo, però, l’esperienza e la maturità tipiche delle persone diversamente giovani sono caratteristiche sempre più necessarie. In situazioni di emergenza, che si rincorrono molto frequentemente, servono grandi capacità nel mantenere il controllo e nell’usare la propria testa. Nel periodo Covid si è ricorso a piene mani alla sapienza di questi colleghi, che hanno saputo affrontare responsabilmente guai seri. Nella mia (recente) esperienza, quando ho assunto anche over 60, posso testimoniare il successo nel vedere la grande motivazione e i preziosi contributi offerti da chi ha ancora tanto da dare e da insegnare, nonostante un certo chilometraggio nel motore. Magari non è più il caso del signor Suzuki, un caso estremo con i suoi 91 anni, però andiamoci piano con le ironie: la sua azienda non dimostra tutta quell’età, forse perchè lui per primo sa scegliere i giovani. E comunque tranquilli: dice che a giugno andrà in pensione. Forse.

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