FERMI TUTTI: CHEF DE LAURENTIIS RINNEGA LA PIZZA NAPOLETANA (PER LA ROMANA)

Un’intervista da leggere con il tovagliolo a portata di mano. Per non restare unti dal sugo delle domande e dall’olio delle risposte.

De Laurentiis Aurelio si è concesso, nel senso buono, a Barendson Guido, nipote dell’eccellente Maurizio. O’ presidente non parla di football, settore dal quale ricava denari importanti per dare ossigeno ai cinepanettoni ormai scaduti per Covid e mancanza di ingredienti, però si avventura tra fornelli, cucine, cibo e bevande, repertorio di gran moda che acchiappa la qualunque.

Adl, come viene ricordato con l’acronimo che rende quasi l’idea di una nuova variante, demolisce il mito della pizza napoletana, preferendo la romana, parla dei forni a legna, i cui ceppi non hanno denominazione di origine controllata (a Napoli, poi), puntando su quelli elettrici, dimenticando la storica frase di Totò “E io pago!”; apre e chiude una “parente” sui lieviti, forse alludendo, lo spero, a quello madre e non chimico, segnala di preferire, come abbinamento, il vino rosso a birra e champagne, non specifica quali uve, però ricorda di avere assaggiato una fusion meravigliosa di pizza appena calda che faceva da letto (questo lo dico io, ma fa parte del linguaggio tipico) a frutti di mare appena fatti, forse intendeva colti, pescati o strappati alla roccia. Il fatto non avvenne a Mergellina o a via Toledo, ma nella costa più azzurra, più sciccosa rispetto al golfo sotto il Vesuvio, il racconto fa venire in mente Gianni Minà e certe narrazioni: eravamo io, Philippe Noiret, Christopher Lambert, Robert Viale, il proprietario del mitico Pirate… “la pizza tiepida appena portata da una boulangerie lì vicino… ogni tanto ne faccio quattro/cinque teglie per gli amici: pochissima mozzarella, quasi asciutta, un pizzico di erba cipollina e all’ultimissimo un lancio di cozze”.

Qui ci vorrebbe l’applauso, con i poveri mitili ignoti costretti allo scempio a fianco dell’erba cipollina, ma tant’è, O’ presidente spiega poi che non c’è come il pacchero, ma non con il pesce, e lui se ne intende avendo in araldica di famiglia un avo, l’Aurelio faticatore illustre come poi Dino, che produceva pasta. Come omaggio al nonno, Adl possiede nella dimora un armadio da 12 metri quadri, mica Ikea, contenente ogni tipo e formato, dallo spaghetto in giù.

Non c’è soltanto ‘a pizza, vuoi mettere la Fiorentina, con la effe maiuscola chissà perché, messa assieme alla Wagyu, carni totalmente differenti, cibi che non lo preoccupano perché lui, che è di gruppo zero, “si fa una pippa”.

Totalmente allupato dal menù, O’ presidente ha poi lanciato, non le cozze, ma un attacco alla borghesia napoletana che non sa mangiare, trascurando i luoghi storici e preferendo Posillipo. Davvero ‘na vita i mer..!

L’intervistatore non fa una piega, anzi chiude con un aggettivo vesuviano “Vulcanico presidente!”.

Mi preoccupa l’eruzione, non saprei come proteggermi anche perché mi ritrovo con il tovagliolo lercio come in una trattoria di Vladivostok, durante l’occupazione giapponese.

A proposito, ma i soldati dell’imperatore preferivano la chianina? Direi non al sangue.

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