DISASTRI E RIMBALZI, SCETTICISMO COMUNQUE

di GHERARDO MAGRI – Affacciarsi sull’orlo del baratro ed essere ottimisti per forza. O pessimisti nei momenti di gloria. Così si sentono i manager in tante situazioni della propria vita aziendale. Chi ha a che fare con obiettivi da raggiungere (target) e, soprattutto, ne ha la responsabilità, sa di cosa sto parlando. Il tempo è scandito inequivocabilmente e inesorabilmente dal calendario.

La prima verifica è il cosiddetto fine mese. L’anno si scompone in (almeno) dodici frazioni, tutte ugualmente importanti per verificare se sei in linea con i risultati attesi. Allo scadere dei trenta giorni c’è sempre in agguato un mini-bilancio: si gioisce o si rifanno subito i piani per recuperare nel mese successivo. E’ una botta di adrenalina comunque, positiva o negativa che sia, si vive o si muore in continuazione.

Poi vengono i trimestri, ancora più pericolosi. Per chi è quotato in Borsa, è un vero e proprio bilancio intermedio con cui ti devi esporre verso la stampa e gli azionisti. Questo periodo è diventato il metronomo centrale di salute dell’azienda, in cui si fanno già consuntivi e previsioni delle fase successive. Come importanza ha preso il posto della semestrale (che ancora c’è), l’accelerazione è stata forte e viene dai continui cambiamenti esterni che spingono a modificare strategie e tattiche anche nel breve. Anche troppo. C’è il grande rischio di essere guidati dalle contingenze e dalle necessità di dare risposte quando non hai ancora capito cosa sta succedendo. Di prassi si organizzano meeting formali, assorbendo energie che sarebbero più utili per la gestione reale. Non a caso si parla in gergo dei “power point manager” (derivato dal software più utilizzato per le presentazioni), categoria virtuale con connotati negativi, rappresentata da chi ormai si occupa più di parlare che di fare.

Il vero giudice è, ovviamente, la chiusura dell’anno. Ma, prima, viene la discussione degli obiettivi dell’anno successivo, il famigerato Budget. Anche in questo caso le aziende stanno anticipando esageratamente i tempi. Il buon senso e la storia scandivano queste riunioni super ufficiali verso fine ottobre, cioè quando sapevi ragionevolmente se eri centrato sugli obiettivi. Di questi tempi, invece, i numeri si fissano precocemente a settembre, per alcuni dati anche a luglio. Non ha logica. Stai ancora faticando come un matto per navigare nelle incertezze e devi già essere molto preciso per l’anno che viene. Con la pressione addosso della crescita forzata, oltretutto. Un bel groviglio.

In questo contesto di continua fibrillazione e volatilità a gogò, il manager deve fare spesso buon viso a cattivo gioco. Perché sa, con cognizione di causa, che il mancato raggiungimento di un obiettivo nel breve è stato causato da motivazioni certe, o, più semplicemente, perché cerca di interpretare le cose al meglio. Questo vale anche nel senso opposto, quando si superano alla grande gli obiettivi. Io dico sempre che è più difficile spiegare perché si va così bene piuttosto che così male. Non trascuriamo il fattore C, bisogna essere onesti nel considerarlo e nel dichiararlo un grande alleato.

In tutti i casi, si possono creare situazioni al limite del sostenibile – e ne ho vissute parecchie -, in cui devi interpretare un ruolo e comportarti di conseguenza, anche se sai perfettamente che di lì a poco le cose potrebbero cambiare drasticamente.

Così mi sento adesso, in questo momenti di rimbalzo inaspettatamente positivo del business in piena seconda ondata Covid. Numeri da record che dovrebbero essere celebrati, che vanno ben al di là di un prevedibile recupero, ma che proprio non posso celebrare con euforia. Perché è tutto sfasato rispetto all’(orribile) oggi reale che stiamo vivendo. Non riesco a fare di meglio che rispolverare un vecchio adagio evergreen, preso direttamente dalla saggezza popolare: “Amici, calma e gesso”.

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