AZZANNATI DALLA POVERTA’

di GHERARDO MAGRI – Con il Coronavirus è arrivato un milione di nuovi poveri in più, in aggiunta alla folta schiera che già esisteva. È un effetto non-collaterale devastante, che muove non solo le statistiche ma anche le nostre coscienze.

Chi sono i poveri in Italia? Facciamo chiarezza. Ci sono due definizioni, secondo l’Istat. Sul gradino più basso c’è la povertà “assoluta”. Io credevo, fino a ieri, che fossero le persone non in grado di permettersi proprio niente, i senzatetto e i clochard: no, mi sbagliavo. Applicando il calcolo della povertà assoluta nel sito dell’istituto, scopro che la definizione cambia a seconda dell’età, dei componenti familiari, della zona geografica e dalla dimensione del comune in cui vivi (o sopravvivi). Mi metto all’opera e calcolo una persona tra i 60-74 anni, che vive al nord in un’area metropolitana con più di 250.000 abitanti. Risultato: nel 2018 (è l’anno più recente) la soglia è di 970,01 euro. Il suo gemello del sud si attesta a 729,42 euro. Di cosa? La definizione recita che si è poveri assoluti se la spesa mensile per consumi è pari o inferiore a questo valore monetario calcolato a prezzi correnti del paniere di beni e servizi considerati essenziali per ciascuna famiglia. Non trovo altri dettagli di approfondimento, ma mi colpisce subito pensare le tante persone che si trovano più vicino a questa cifra che a zero magari li avremmo considerati in forte difficoltà, non poveri assoluti. La categoria comprende ben 5 milioni di individui, in aumento negli anni.

Il secondo gradino comprende la povertà “relativa”. In questo caso si considera, per una famiglia di due componenti, quando la soglia è pari o inferiore alla spesa media per persona nel Belpaese. Cioè, due persone consumano come una, con la media di Trilussa. L’affollato gruppo è fatto di 9 milioni di individui, in aumento negli anni. In questo fosco contesto, l’Istat pubblica di recente il suo rapporto in occasione del terza edizione degli “SDGs 2030”, i 17 obiettivi di sviluppo sostenibile a livello mondiale, piano adottato dall’ONU ad altissimo livello, in cui il primo della lista è proprio la sconfitta della povertà. Purtroppo, la sentenza è sconfortante: nel 2018 – ahimè, gli aggiornamenti sono sempre datati – il rischio di povertà o esclusione sociale in Italia è del 27.3% della popolazione totale, equivalente a 16,4 milioni di individui.

Poi arriva il Coronavirus e l’aggiornamento in tempo reale, invece, viene dalla Coldiretti, che stima un aumento di un milione di “nuovi poveri” (a questo punto non più paragonabili esattamente con le definizioni standard), stabilito in funzione delle forti crescite – vanno dal +40% al +110% – nelle richieste di aiuti alimentari alle associazioni come Caritas e Banco Alimentare. Si allungano a dismisura le file davanti alle mense e ai centri di distribuzione solidali. Sono tantissimi gli italiani che hanno perso il posto di lavoro e che non sanno più a chi rivolgersi. Anche senza fare i totali di tutti i milioni conteggiati, direi che l’Italia non è messa molto bene e non può più voltare la testa davanti a questa realtà.

È sotto gli occhi di tutti, ci sta urlando di essere considerata e ci scongiura di non passare via indifferenti davanti agli assembramenti per un piatto caldo, ci implora di non sfogliare velocemente il giornale o il tablet quando ci imbattiamo in questi numeri. Dovremmo prestare anche più attenzione alle storie di conoscenti che sono sempre più vicini a noi e che, magari, mettono un po’ in imbarazzo la nostra sicura posizione sociale.  Nuova normalità (neologismo odioso) = nuovi poveri? Non permettiamolo.

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