LA GRANDEZZA DEL PENSIERO BAMBINO

Nei giorni scorsi sono stato in compagnia del mio nipotino di 5 anni. Io lo amo. Non tanto per quello che fa, più o meno uguale a quello che fanno i suoi coetanei, ma per quello che pensa. Sono affascinato dai suoi pensieri, quei pochi che mi rivela, all’improvviso, mentre fa altro, con leggerezza.

A volte è stupito per qualcosa che a noi adulti pare scontato (il fascino delle scale mobili, ad esempio), a volte sono considerazioni quasi poetiche create da associazioni non banali. Ammiro l’innocenza nel confessare le sue paure e le sue emozioni private, la creduloneria associata alla serietà dell’impegno nel gioco. Vede grandezza dove noi vediamo solo routine.

Penso che mi racconti solo una parte minuscola dei suoi pensieri, sicuramente ne racconta di più ai suoi genitori, eppure già alla sua età ci sono un’infinità di pensieri prodotti e non raccontati a nessuno, inaccessibili per chiunque. Che fine fanno?

Noi ci identifichiamo in ciò che facciamo, nelle nostre azioni e nei nostri comportamenti. Sono sicuramente importanti, ma forse non si dà il giusto risalto a ciò che pensiamo. Forse, ancor più delle nostre azioni, conta la consapevolezza che le accompagna. Non solo quello che facciamo, ma come e perché.

Sono i nostri pensieri, prodotti instancabilmente anche in assenza di un’operatività e che riusciamo a percepire in modo più vivido quando siamo soli, la nostra essenza. “Cogito ergo sum”, diceva Cartesio. Eppure, tutti dimentichiamo la stragrande maggioranza dei nostri pensieri. In una vita, miliardi di pensieri che ci formano e che si perdono, a tutti sconosciuti…

A volte solo la grande letteratura ha il potere di rendere straordinarie vite apparentemente banali, proprio narrando il flusso dei pensieri che si cela dietro una modesta quotidianità. Che bello, quando il pensiero è ampio come quello di un bambino, e non tormento.

 

 

 

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