L’AFGHANISTAN E’ QUI, OVUNQUE, SEMPRE

Ammetto di essere un vecchio maschilista retrogrado e di aver vissuto per troppi anni in quelle specie di caserme civili che sono le redazioni dei giornali. Perciò mi scuso se nel vedere le immagini di quelle donne afghane che sono scese in piazza per gridare ai talebani che non vogliono ritornare nel medioevo ho utilizzato – appunto – un’espressione classica del vecchio maschilista da caserma: “Queste donne hanno due coglioni così”. Nelle intenzioni, era il massimo del riconoscimento.

Dimostrano coraggio e forza fisica fuori dalla norma, quella che non hanno esibito le centinaia di migliaia di loro connazionali maschi fuggiti a gambe levate di fronte ai beduini col turbante calati dai monti a Herat, Kabul e nelle altre valli per riportare indietro le lancette della storia. Quei disumani dalle lunghe barbe, che hanno anche la faccia tosta di chiamarsi “studenti coranici” (gli studenti analfabeti sono una categoria che nemmeno l’Invalsi è ancora riuscita a codificare), dall’alto dei loro kalashnikov hanno spiegato che  “le donne non possono stare al governo, devono fare figli. È come mettere al loro collo un peso che non possono sostenere”. Testuale.

E quindi – dicevo – guardavo ammirato la rabbia e l’orgoglio di quelle donne afghane e le omaggiavo con espressione da caserma, quando il flusso delle notizie mi ha messo davanti alla storia di un’altra donna, e di un altro uomo, molto più vicini a noi.

A Noventa Vicentina, nel cuore dell’Italia e dell’Europa mica in una sperduta landa afghana, lui disoccupato e soprattutto nullafacente sessantenne ha ammazzato lei trentenne che alle 7 del mattino stava entrando in fabbrica. Lei si era stancata delle angherie del cialtrone, e una settimana fa gli ha detto “Basta”, arrangiati”. Lui l’ha aspettata nel parcheggio della fabbrica e le ha sparato 4 colpi di pistola. E’ stata le settima, ripeto settima, donna uccisa in Italia negli ultimi sette giorni da un marito, compagno, amico.

E lì, il vecchio maschilista retrogrado eccetera è andato un po’ in tilt. Perché l’Afghanistan è anche qui, attorno a noi. E gli attori sono sempre gli stessi, possono anche cambiare abbigliamento o pettinatura, ma recitano il solito copione: protagonista maschile analfabeta che non sapendo come giustificare la propria nullità e inutilità trasferisce su un’arma qualunque – pistola, coltello, fucile – l’illusione del riscatto dalla propria impotenza.

E però, non è una questione di genere: in piazza a Kabul sono sfilate anche alcune decine di donne intubate in burqa neri per gridare quanto siano contente di scomparire nella sottomissione ai beduini talebani, una evidente sceneggiata orchestrata dal regime, ma alla quale si sono pur prestate quelle disgraziate senza dignità. Così come ci sono anche qui donne sciagurate che uccidono o che tengono bordone ai loro compari mafiosi, assassini, spacciatori di morte. Non è, quindi, una questione di genere né di latitudine.

E’ una questione, invece, tutta culturale. Non nel senso dell’erudizione, ma nel senso della capacità dell’essere umano di evolversi attraverso la conoscenza, l’educazione, lo studio, l’unica cosa che lo differenzia realmente dagli altri esseri animali. Qualcosa che non ottieni alla nascita, che non fa differenze di genere, di razza, di colore, di origine, che non compri al mercato perché non ha un prezzo se non il costo dell’impegno e della fatica, che non si trova sui social (che anzi, ne sono l’antidoto). E’ qualcosa che sta diventando sempre più rara, e risulta ancora più incredibile in un mondo nel quale le possibilità di conoscenza, di riflessione, di incontro non sono mai state così a portata di tutti.

Cambierà? Il vecchio maschilista retrogrado eccetera è anche pessimista, le ha proprio tutte: perciò lo scetticismo è d’obbligo. Purtroppo, a prescindere dagli attributi.

Un pensiero su “L’AFGHANISTAN E’ QUI, OVUNQUE, SEMPRE

  1. Eleonora Ballista dice:

    La cosa che io trovo incredibile è che i fanatici islamici, a qualunque fazione appartengano, una cosa sembrano averla capita: per inculcare il loro credo partono dai bambini (che arruolano piccolissimi), perché é agendo sulle nuove generazioni che si cambiano le cose, in bene o in male.
    Noi occidentali del “primo mondo” potremmo, almeno in questo, prendere spunto e curare la formazione dei nostri “piccoli”, migliorando l’offerta formativa delle scuole nazionali (pubbliche o private che siano), a partire dalle materne. Saremmo così in grado di offrire l’insegnamento di quei valori che, assorbiti piano piano, diventeranno la migliore garanzia di abbattimento di gran parte delle brutture di casa nostra, dalla negazione dei diritti umani fino alla piaga, purtroppo mai finita, dei femminicidi.

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