GIULIANI E IL G8, LA SOLITA STORIA (DEFORMATA)

di MARCO CIMMINO –  La storia sarà anche la maestra della vita, ma a me, che la maneggio tutti i giorni per lavoro, dà l’impressione di non insegnare un bel niente. Più invecchio e più, inevitabilmente, ho un punto d’osservazione privilegiato sulla storia contemporanea: nel senso che, prima, me la sono sciroppata come cronaca e, adesso, me la sciroppo di nuovo come storia. E, per esperienza personale, posso dirvi come funziona il trapasso, apparentemente lentissimo e indolore, tra un fatto di cronaca e un paragrafetto su di un libro di storia.

Sono passati vent’anni dal G8 di Genova. Non sono tanti, ma nemmeno pochi: quando sono nato io, Hitler era morto da quindici anni, eppure era già stato abbondantemente consegnato alla storiografia, e il mondo era cambiato radicalmente. Dunque, diciamo che vent’anni sono un periodo ragionevolmente lungo perché un fenomeno o un evento si stratifichino ed entrino a far parte della memoria storica collettiva. A questo punto, bisognerebbe che la sedimentazione e la riflessione prendessero il posto dei sentimenti aoristi: quelli che ci prendono alla gola e allo stomaco nell’immediatezza di un fatto che ci colpisca. Bisognerebbe, ma questo non sempre avviene: anzi, più si va avanti e meno si verifica.

Da quel che leggo, tra carta stampata e social, sembrerebbe che Carlo Giuliani fosse morto ieri. Non tanto per il solito schieramento, che, ormai è una costante della nostra gente. Chi dice che Giuliani era solo un tossico, un deraciné ripudiato dalla famiglia e, in definitiva, un delinquente che se l’è andata a cercare; e chi, invece, scrive “Carlo Giuliani, ragazzo” e lo addita alla pubblica memoria come una specie di martire della libertà o, in subordine, come uno che passava da piazza Alimonda per caso. A latere, familiari furbacchioni, politicanti furbacchioni, giornalisti furbacchioni: siamo il Paese dei furbacchioni, evidentemente.

Ma la storia, direte voi? La storia non c’entra nulla: nessuno che si prenda la briga di ripensare, storicamente, a quel benedetto G8. Nessuno che si domandi perché sia andata così. Nessuno che descriva lo scenario completo. A seconda di interessi politici o di esigenze di copione, c’è chi scrive o parla dei Black Bloc, accusandoli di ogni responsabilità oppure, ad libitum, descrivendoli come sodali, se non colleghi, dei poliziotti, messi lì per dare il via al disastrino. Per i medesimi motivi, nessuno si domanda quali siano state le responsabilità a monte, tanto degli organizzatori quanto dei dimostranti. Certo, si è scandagliato nel dettaglio ogni aspetto di quel colpo di pistola che ha ucciso Carlo Giuliani: ma delle dinamiche da guerriglia messe in campo da una consistente fetta dei manifestanti, nessuno parla mai. O dei danni alla città, che sembrano essere solo un dettaglio. Così come si parla di Bolzaneto, ma non delle istruzioni date agli uomini delle forze dell’ordine: delle strategie e delle tattiche adottate. E, soprattutto, non si ricorda mai perché i Grandi della Terra fossero lì e perché ci fossero tante persone a contestarli.

Insomma, è la solita vecchia storia, come col ’68, come per gli anni di piombo: si preferisce creare pupazzi da sottoporre all’adorazione delle masse o raccontare microscopici dettagli, piuttosto che analizzare storicamente e seriamente un fenomeno. Il che, in conclusione, mi induce a pensare che, forse, vent’anni siano pochi, in un’epoca come la nostra, per fare i conti con la storia. Una storia che, evidentemente, non è finita.

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