QUELLA VOLTA CHE COMPRESI LA TRAGEDIA DI LUANA ALL’ORDITOIO

di ELEONORA BALLISTA – La morte di Luana D’Orazio, ventiduenne di Montemurlo in provincia di Prato, tragicamente scomparsa per un incidente sul lavoro nella fabbrica tessile dove lavorava, scatena la rabbia trasversale dell’opinione pubblica e dei sindacati, perché non si può, nel 2021, morire ancora così durante il proprio turno in fabbrica.

E la faccenda indigna anche me, se possibile, in maniera ancor più consapevole.

Luana lavorava all’orditoio, un macchinario che serve per preparare il subbio d’ordito, quella enorme bobina che si trova attaccata al telaio e che fornisce i fili della parte verticale del tessuto.

Conosco benissimo quella macchina, per due motivi: il primo è che sono, per formazione scolastica, un perito tessile, e il secondo riguarda un’estate di tanti anni fa.

Quel mese di luglio fra la quarta e la quinta superiore, avevo 17 anni, andai a lavorare in una tessitura non lontano da casa (io vivo in provincia di Como, distretto tessile fra i più noti) e due volte la settimana mi toccava proprio il turno all’orditoio. Facevo da assistente ad una bravissima operaia, tra l’altro mamma di un mio compagno di scuola, che conosceva ogni bullone di quella macchina tanto rumorosa quanto pericolosa.

“Stai attenta, mi raccomando: quando vieni a lavorare in questo reparto ricordati di non indossare nulla con cinture o corde penzolanti: potrebbero impigliarsi, potresti farti molto male”, mi diceva sempre.

Non ricordo il nome di quella collega gentile, ma sono indelebili le sue parole. Ai tempi la migliore assicurazione contro l’infortunio era l’attenzione personale alla propria mansione. Ma oggi non è possibile che non vi siano dispositivi preposti alla perfetta sicurezza dell’operaio che presta il suo servizio.

Ora, non sappiamo cosa sia successo esattamente alla povera Luana (trapela qualche voce relativa ad una fotocellula di sicurezza mal funzionante, o a una saracinesca mancante) e c’è, comunque, un’indagine in corso che stabilirà la verità su quanto accaduto. Forse, si spera.

Una cosa però è certa: gravissimo sarebbe scoprire che il macchinario non fosse dotato di un dispositivo di sicurezza, ma altrettanto grave sarebbe certificarne la presenza per constatarne il malfunzionamento.

Ovviamente non c’è una verità migliore di un’altra perché nessuna riporterà in vita Luana, ma è importante che non si spengano i riflettori su un tema cardine come la sicurezza sul posto di lavoro, perché 128 morti rilevati soltanto nel primo trimestre di quest’anno sono oggettivamente troppi (notizia delle ultime ore, il povero lavoratore morto schiacciato dal tornio a Busto Arsizio).

Un’ultima annotazione personale: accanto al lavoro manuale di quella mia estate in tessitura c’era anche la preparazione di una tesina da presentare al rientro in classe.

Come argomento scelsi i sistemi di condizionamento della fabbrica tessile: mi impegnai a spiegare come fossero importanti i condizionatori d’aria per mantenere, nell’ambiente dove erano sistemati i telai, il giusto grado di umidità, tale da minimizzare, durante la lavorazione, la rottura dei fili di organzino di seta, i più sottili in assoluto.

Quel giusto grado di umidità, per tutto quel mese di luglio, fu garantito da me che tutte le sere, prima di andare a casa e indossati gli stivali di gomma, andavo di telaio in telaio con un innaffiatoio in mano, versando l’acqua sotto la macchina, in modo che quella piccola inondazione, evaporando (in tessitura fa sempre un caldo tremendo), provocasse l’umidità perfetta.

E in quel mentre pensavo che tale pratica era distante anni luce da ciò che avevo esposto nella mia tesina e che i giusti macchinari per il corretto condizionamento esistevano già, bastava solo acquistarli e montarli.

Ma evidentemente era più comodo, ed anche più economico, mandare me con l’innaffiatoio.

Correva l’anno 1987 e già allora non c’erano scuse per le scorciatoie economiche a proposito di sicurezza di chi lavora.

Oggi, tale argomento non dovrebbe nemmeno più essere oggetto di discussione, dovrebbe essere faccenda assodata.

Invece la cronaca, il più delle volte, ci dice che siamo ancora lontani. Troppo lontani.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *