LANCIANO LA MARCIA UBRIACONA, MA NON FA RIDERE

Dieci anni fa, tondi tondi, uscì nei cinematografi uno dei film più, diciamo così, visionari della storia del cinema: The World’s End, La fine del mondo. Era una storia bislacca, in cui cinque amici inglesi, di mezza età, decidevano di ritentare, dopo un ventennio, il giro, a suo tempo fallito, dei dodici pub della cittadina di Newton Haven, impresa nota come “The golden mile”, Il miglio dorato. La cosa si mescola con un’invasione aliena, dando origine a una serie di situazioni del tutto paradossali, finchè l’esplosione dell’ultimo pub, “The World’s End”, appunto, riporta il mondo indietro, fino a una sorta di Medioevo.

Era un film piuttosto demenziale, che faceva parte di una ancor più demenziale trilogia, detta “Del cornetto”: film precedenti “Shaun of the Dead” e “Hot fuzz”. Insomma, una robina da belli fuori.

Va detto che l’idea di inventarsi un tour dei locali più alcolici di un quartiere o di un paesello non è particolarmente originale: a Vienna, ad esempio, se riesci a completare il giro delle birrerie della zona di Hundertwasser, alla fine non paghi il conto. Nonostante la mia notoria predilezione per la birra viennese, vi confesso di non averci mai provato. Perché sono fesso, ma non sono scemo del tutto.

Viceversa, pare che qualcuno disposto ad osare l’inosabile esista ancora, e perfino qui da noi, se è vero che una misteriosa società segreta, che, in onore del film di Edgar Wright, si chiama “Il Miglio Dorato”, ha organizzato un percorso alcolico a tappe per il 23 marzo, tra Almenno San Bartolomeo e Brembate, in provincia di Bergamo, toccando ben tredici locali (uno in più rispetto all’originale), con obbligo di consumazione alcolica.

Il senso dell’operazione, va da sé, ci sfugge un tantino, ma l’intento goliardico appare abbastanza evidente, a partire dai consigli ai partecipanti, come l’abbigliamento “comodo e ignorante”. Lo scopo, a quanto pare, è quello di devastarsi. Devastarsi e basta: non c’è guiderdone né classifica. Una bella strabevuta, attraverso alcuni dei paesini più insignificanti della provincia di Bergamo, fino a trascinarsi a casa, debitamente imbrombati. Ahahahah, mamma mia che ridere!

Io non sono certamente un moralista: il diabete di cui godo è quasi una malattia professionale e ho fatto il militare nel Quinto alpini, dove l’acqua si usava per annaffiare le aiuole e basta. Ma questa trovata mi sembra semplicemente insulsa: mi ricorda il modo di bere di certi giovanoidi, che vanno alle feste di compleanno e si annientano a forza di bere. Non una risata, non un’occhiata alle ragazze presenti, nemmeno mezza chiacchiera con gli amici: bere per bere, vomitare per vomitare, rincasare piegati in quattro, tanto per poterla raccontare. Ecco, questa trovata del “Miglio dorato” mi ricorda un po’ questo modo di bere: un’ ubriachezza meccanica, fine a se stessa. Una specie di inno alla solitudine di gruppo. Evidentemente, questa solitudine di gruppo è un po’ la costante di quest’epoca depressa: i videogiochi, i social, la sbronza a tappe, mi sembrano tutte manifestazioni di una sostanziale incapacità di stare assieme. Anche di far casino, perché no? Ma un casino in cui l’alcool può funzionare da detonatore della goliardia, non da fine ultimo.

Invece, l’idea di questi disciplinati alcolisti, che, timbrando il cartellino, si fanno l’Isola bergamasca a colpi di Montenegro o di Peroni, mi sa un tantino di disperazione: un po’ come quelli che vanno a fare le vacanze avventura, sperando di trovare la donna della loro vita.

Me li immagino, coi loro vestiti ignoranti (tutti ignorantemente uguali, naturalmente), che ridono a comando, vittime di un’allegria prestabilita da contratto, mentre si scolano Campari o Pernod al Bar Luigina o al Loto Cafè, sotto l’occhio benevolo dei gestori. Davvero il massimo della goliardia.

E questo mi pare l’esatto rovescio della medaglia di quelli che istituiscono corsi contro le dipendenze nelle scuole: non funzionano questi e non funzionano quelli, perché tanto l’ordine quanto il disordine prestabilito sono due fiaschi.

Che nostalgia per quelle bevute di una volta, in compagnia, quando il bicchiere era solo la pausa tra una chiacchierata e l’altra o l’innesco di nuove conoscenze e, chissà, di nuovi amori! Eravamo dilettanti, tanto del bere come del vivere, certo: ma la nostra, bene o male, era vita. Non come queste libagioni meccaniche, che ricordano tanto i “Vuoti”, robot alieni che prendono il posto degli umani, in quel film di una decina di anni fa, intitolato – pensa un po’ – The World’s End.

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