CREDIT SUISSE NON INFIAMMERA’ L’EUROPA, MA NESSUNO PUO’ RILASSARSI

In questi giorni molti si domandano (e mi domandano) se Silicon Valley Bank è la nuova Lehman Brothers. Io non so qual è la risposta giusta, ma so che la domanda è sbagliata. Perché SVB non è certamente Lehman in termini di dimensione, di reputazione e di importanza per i mercati finanziari. Quindi verrebbe da rispondere che no, non è la nuova catastrofe.

Ma la crisi finanziaria del 2008 – di ben 13 anni fa (o di soli 13 anni fa?) – è culminata con gli impiegati che uscivano con gli scatoloni dalla mitica Lehman, ma è iniziata circa un anno prima con la caduta di Northern Rock, la banca di mutui inglese. Poi è stata la volta di Bear Stearns, un’investment bank americana, simile a Lehman ma più piccola. Dunque la domanda cruciale è se SVB può essere la nuova Northern Rock: l’innesco, non l’apice, della crisi. Il che è ancor più inquietante. Soprattutto dopo che alla relativamente piccola banca californiana si è aggiunto il prestigioso Credit Suisse.

Cosa c’è di simile e cosa di diverso rispetto ad allora? Nei primi anni 2000 tutti investivano nei famosi mutui subprime a rendimento e rischio elevato, finanziandosi a breve termine. Così quando il castello si è incrinato il contagio si è diffuso rapidamente perché tutti i soggetti erano predisposti ad ammalarsi nello stesso modo.

Oggi la moda è altrettanto diffusa, ma è diversa. L’oggetto dell’investimento è più solido dei mutui sub prime: sono titoli governativi, per definizione esenti da rischio di credito, o quasi. Però la trasformazione delle scadenze (la differenza fra la durata della provvista e quella dell’impiego) è estrema. E questo genera pure molto rischio: non di credito, ma di tasso di interesse. Cioè: non è in dubbio il rimborso finale del capitale, ma il rischio sta nel fatto che se vendo oggi un titolo a vent’anni che rende l’1% quando i nuovi titoli in circolazione offrono il 4 o il 5%, porterò a casa solo il 60% del suo valore nominale. Se posso tenerlo in portafoglio per vent’anni incasserò 100 dollari, o 100 euro. Il guaio è se sono costretto a liquidarlo prima, magari perché i miei finanziatori pensano che ho troppo rischio “in pancia” e vogliono indietro i loro denari. Ecco perché il ruolo delle banche centrali è così importante: se forzano il rialzo dei tassi per combattere l’inflazione, la gente andrà a prendere la liquidità dai depositi bancari; ma per pagare i depositanti, le banche dovranno vendere i titoli; vendendo i titoli, li faranno scendere sempre di più in valore, e questo alimenterà il panico. L’economia è spesso simile alla canzone di Branduardi che finisce “…al mercato mio padre comprò”.

C’è di più. Le banche come SVB e le altre due americane già saltate, sono istituti di media dimensione attivi in settori specifici dell’attività finanziaria: venture capital, start up tecnologiche, criptovalute eccetera. Questo è un problema nel problema, perché anche i loro investimenti nell’economia reale sono molto sensibili alla politica monetaria. Le start up tecnologiche bruciano molta cassa e sono finanziate a leva, cioè fortemente indebitate. Quindi, anche se sul mercato dei titoli di stato non succedesse nulla, qualche altro default potrebbe esserci. E infatti abbiamo già visto forti cali in Borsa per altre medie banche americane.

In breve, il sistema bancario americano sembra solido per quanto riguarda i maggiori operatori, se il mercato dei titoli di stato tiene. Presenta qualche vulnerabilità in più nella fascia delle banche medie e a vocazione non strettamente tradizionale, cioè che hanno abbracciato modelli di business molto particolari legati all’innovazione. Redditizi ma rischiosi.

E in Europa? Credit Suisse è un caso a sé, non è una situazione diffusa presso altre banche importanti. I signori della banca svizzera si sono cacciati in una serie di guai per scandali finanziari, falle nei controlli interni eccetera. Hanno ricevuto anche un sostegno da parte dei sauditi, ma non sono riusciti a portare a termine il loro piano di ristrutturazione triennale. Se alla fine la banca saltasse farebbe molto rumore, ma non il suo caso riflette una condizione endemica. Per il momento, stanno cercando di tappare le falle con un prestito di 54 miliardi di dollari concesso dalla Banca centrale. Sperando basti.

Le banche europee in senso stretto, quelle dell’Unione, hanno pure cavalcato l’onda del carry trade: raccolta a breve e a basso costo investita in titoli di stato a lungo termine, ma in misura più contenuta. Da noi vigono regole più severe proprio in termini di liquidità, quindi se la BCE riesce a portare a termine l’atterraggio morbido dopo il lungo periodo di politica monetaria espansiva, dovrebbe andare tutto bene. Una situazione di vigile attesa, si direbbe. È comunque un equilibrio molto delicato, che potrebbe rompersi per un nulla. Per esempio per un contagio importato dagli Stati Uniti o dalla vicina confederazione elvetica.

Le autorità monetarie vigilano, i governi hanno alzato l’attenzione e anche io sto all’erta.

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