Tuttavia non bisogna ora esagerare in direzione opposta (ma questo psicologo non è mai contento – sta forse venendo da dire a qualcuno – di cosa si lamenta?).
In effetti, mi piacerebbe che ora fossero più noti sia le reali funzioni sia i limiti dell’intervento psicoterapeutico.
Per portare un esempio, recentemente sempre più spesso mi è capitato l’invio nel mio studio da parte di genitori spaventati dei loro figli adolescenti. Genitori preoccupati per la sofferenza dei ragazzi, magari per la fine di un amore.
In certe circostanze si tratta di genitori iperprotettivi o con sensi di colpa più o meno inconsapevoli, ma in altre si tratta di genitori assolutamente adeguati e presenti.
In ogni caso, gli psicologi non hanno il potere di far smettere di soffrire gli esseri umani. Io provo a spiegare che la sofferenza e il provare dolore non vanno considerate malattie da curare, ma si tratta di esperienze assolutamente inevitabili, in quanto prova dell’intensità dei nostri legami significativi.
Per questo credo che l’esodo biblico verso lo psicologo sia un dato culturale proprio della nostra epoca, di cui questi genitori sono inconsapevoli portatori: nella ricerca quasi ossessiva della felicità e del benessere, si tenta di eliminare la sofferenza, come se fosse sempre “sbagliata”, mentre al contrario si tratta di un’esperienza umana ineludibile. E, per quanto dolorosa, è una delle forme dei nostri legami. Infatti, soltanto alle persone cui vogliamo bene e a cui teniamo davvero concediamo il potere di farci soffrire, e quanto più forte e duratura è la relazione più alta è la probabilità che soffriremo, anche.
Ovviamente, la soluzione non è evitare di avere relazioni pur di non soffrire. Le emozioni non vanno considerate interferenze fastidiose, ma al contrario esse costituiscono il sale della vita. Il compito degli psicologi è aiutare a trovare senso e sviluppare consapevolezza. Senza abolire ogni ostacolo sulla via di una fittizia felicità.
Ho letto,mi è molto piaciuto
Condivido tutto come padre e nonno