23 ANNI DI GRANDE EURO, IL PROBLEMA SONO I PROSSIMI 23

Questo non è l’ennesimo articolo sui vent’anni dell’Euro. Per il semplice fatto che l’Euro di anni ne ha ventitré, essendo nato nel ’99, quando è stata fissata la parità irrevocabile dei cambi delle vecchie valute contro la nuova: per la lira il famoso 1.936,27. Da quel momento è esistita la moneta comune europea, di cui i biglietti da 1.000, 5.000 e via via fino a 100.000 lire erano solo i segni cartacei. Nel 2002, appunto 20 anni orsono, è iniziata la circolazione delle banconote e delle monete denominate direttamente in euro. Un fatto meramente esteriore, non degno della celebrazione di questi giorni, benché non privo di qualche valore simbolico.

Detto questo, l’occasione è ghiotta per chiederci se l’Euro ha mantenuto le sue promesse, cioè se l’Unione Monetaria si è realizzata per come veniva prospettata e per la quale abbiamo fatto sforzi e sacrifici. Tanti hanno celebrato (intempestivamente) la ricorrenza, ma nessuno si è posto questa che è la domanda centrale. Per inciso, è curioso il silenzio degli avversari dell’Euro: non ci sono più i paladini dell’Italexit e del ritorno alla liretta? La loro estinzione sarebbe una buona notizia, ma temo che non sia così.

A metà degli anni ’90, quando il disegno di superare le valute nazionali si è definito nella sconosciuta cittadina di Maastricht, inseguivamo il sogno di lasciarci alle spalle la nostra liretta fluttuante e inflazionata, che ci costava alti tassi di interesse, per agganciarci a una nuova moneta forte e stabile, con grande potere di acquisto sull’estero e capace di diventare una valuta di riferimento globale. Un po’ come vedevamo a quel tempo il Deutsche Mark. Confesso che io ero fra gli entusiasti e facevo fatica a capire chi preferiva una moneta debole rispetto a una forte. Cioè, non è che non lo capissi: vedevo bene che gli industriali trovavano comodo ottenere un temporaneo guadagno di produttività attraverso la svalutazione cosiddetta competitiva (sic!), scaricandone il costo sulla collettività in termini di inflazione. Ma ho sempre ragionato come il mio cane che, forse perché tedesco (di razza, intendo), se deve scegliere fra un biscotto piccolo e uno grande… non ha dubbi e istintivamente si butta su quello grande.

A ventitré anni di età, l’Euro dimostra di avere ben performato. È stato capace di difenderci dall’inflazione: l’1,64% in media annua è inferiore al tasso frizionale (cioè fisiologico) del 2%. Così virtuoso che i presidenti della BCE che si sono succeduti hanno dovuto pompare liquidità nella speranza di innescare un rialzo dei prezzi. Ma su questo torneremo dopo. È stato capace anche di conservare il suo valore rispetto al Dollaro americano, visto che il primo fixing fu a 1,16 dollari per un euro e oggi viaggiamo intorno a 1,14. Certo, nel mezzo ci sono state oscillazioni molto forti, in entrambi i sensi, ma comunque oggi siamo al livello della partenza. E altrettanto vale per i tassi di interesse, cioè per il costo del denaro, che durante questi due decenni e un pezzo sono stati ben lontani da quelli a due cifre che caratterizzavano la lira, per arrivare addirittura in territorio negativo.

Si dirà che questo trend è stato comune a tutto il mondo occidentale, visto che è stato un periodo di bassi tassi e bassa inflazione un po’ ovunque. Ma qualcuno è riuscito a fallire, soprattutto fra i Paesi Emergenti, e non è per nulla scontato che l’Italia avrebbe potuto navigare tranquilla con la sua lira (che una volta si è pure vista coniare il pezzo da 500 d’argento con una caravella con le bandiere al contrario!).

Tutto bene quindi? So far so good, direbbero gli inglesi (che nell’Euro non hanno voluto entrare), ma… c’è un ma.

Forse non tutti sanno che all’inizio del 1999 tutti gli eurini che rappresentavano il controvalore delle monete precedenti, erano poco meno di 700 miliardi. Tanti o pochi? Difficile a dirsi: di fronte a dimensioni così ingenti perdiamo il senso della misura. Un miliardo di euro è come un anno luce: sappiamo come si definisce, ma la nostra mente non è capace di comprendere immediatamente e correttamente quella grandezza.

Dirò solo che quella quantità oggi è più che decuplicata: 8.566.372 di euro, con una crescita media annua del 20%. Ma le medie ingannano. Allora diciamo che se il primo presidente, Wim Duisenberg, si è contenuto nel 3,6% all’anno, il francese Jean-Claude Trichet si è spinto al 23%; Mario Draghi, sorprendentemente, è stato più parco, fermandosi sotto il 13%, e alla fine Christine Lagarde, nei suoi primi 26 mesi, ha prodotto nuova moneta alla velocità del 38% all’anno. 3.900 dei circa 8.500 miliardi di euro in circolazione sono stati emessi negli ultimi due anni, non tanto di meno dei 4.600 miliardi generati in tutti i precedenti 21 anni. Un ritmo forsennato, una tendenza non proprio rassicurante.

In conclusione, sorge una domanda: davvero voi pensate che l’Euro potrà ripetere nei prossimi vent’anni la buona prova di questi primi ventitré?

 

 

 

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