Invece la parola del ministro patriota è stata la penultima, purtroppo. Un secondo dopo la sospensione del visto con conseguente trasferimento immediato al primo alloggio non proprio gradito dal serbo, scatta ancora il ricorso della controparte e i contendenti vanno al cospetto della Corte Suprema, schierata al completo per l’occasione. Noi, poveri abitanti del “su sopra”, ci stropicciamo gli occhi stanchi e impastati perché non ne possiamo più e vorremmo che la partita finisca. Comunque vada sarà un successo, vorremmo tornare serenamente ai nostri problemi quotidiani.
Il dado è finalmente tratto, se Dio vuole. Dopo interminabile e stucchevole tiritera, il verdetto della Corte è stato preso all’unanimità alle 5.45 di Melbourne: respinto il ricorso, il serbo perde la causa e deve lasciare l’Australia. “La sua presenza sul territorio australiano potrebbe essere un rischio per la salute e l’ordine pubblico e potrebbe essere controproducente per gli sforzi di vaccinazione da parte di altri in Australia”. Vada da qualche altra parte Djokovic a fare furbate, magari in Italia, dove probabilmente gli avremmo pure chiesto scusa, dove soltanto sei mesi fa uno sportivo come lui – senza il suo talento – ha messo in ginocchio lo Stato, imponendo una demenziale sfilata di folla nella Capitale infestata dal Covid, dietro al pullman degli azzurri trionfanti per l’Europeo (leggi alla biografia Bonucci).
Parole lapidarie, quelle australiane. Senza sofismi e senza scappatoie. Confermato lo stato di fermo, adesso è solo questione burocratica sul quando dovrà fare le valigie. e poi se non potrà entrare in Australia per tre anni.
Ciao ciao, Nole, fai buon viaggio: ci si vede in giro. Non in Australia.