1000 VOLTE IL MEGLIO D’ITALIA (ANCHE SE NON SEMBRA)

di LUCA SERAFINI – In questi mille Gran Premi ci sono pagine gloriose, tra le più lucenti del nostro Paese, pagine che non si consumeranno e non ingialliranno mai. Il compleanno che la Scuderia Ferrari compie questo weekend, sul circuito italiano del Mugello, spegne candeline di fiammelle esaltate dalle competizioni sportive, ma che illuminano magicamente a giorno un marchio industriale orgoglio del nostro Paese: un marchio che nel 2013 e nel 2014 (battendo Coca-Cola e Google) è stato riconosciuto come il più influente al mondo.

Le automobili che la casa automobilistica di Maranello mette in strada, come quelle che mette in pista, sono sempre state per pochi, pochissimi eletti: ricchi i civili, fuoriclasse gli sportivi. Con qualche eccezione che fortifica la regola, perché chi le guida non sempre è un signore o un campione. Fatto sta che i bolidi del commendator Enzo Ferrari, lui signore e fuoriclasse, sono nel cuore del popolo come lo furono le utilitarie negli anni del boom economico. Sono alla portata di tutti, come i sogni. Perché quelle monoposto, quelle fuoriserie, le ha guidate almeno una volta ognuno di noi. Ad occhi aperti.

13 settembre 2020: mille Gran Premi della Ferrari, prima e unica a tagliare questo meraviglioso traguardo proprio nel suo sciagurato 2020. Mille racconti di favole e di eroi, quelli impolverati con in faccia i segni degli occhialoni come Franco Cortese, il primo a guidarla in una corsa a Piacenza l’11 maggio del 1947, o come il leggendario Alberto Ascari che nel 1952 conquistò il primo Mondiale del Cavallino, stemma delle rosse di Maranello. Anche quel Cavallino rampante è un ricordo epico, donato a Enzo Ferrari dalla mamma dell’aviatore italiano eroe della Prima Guerra Mondiale, il maggiore Francesco Baracca, che prima di pilotare aerei aveva frequentato l’Accademia Militare in cavalleria e aveva fatto di quel simbolo il suo stemma personale.

Mille Gran Premi raccontati nei capitoli sul libro delle imprese di Maranello, ciascuno con una firma da pelle d’oca, da brividi,  come se a quel volante a duecento all’ora fossimo sempre stati seduti a fianco anche noi, tutti noi, a Manuel Fangio, Phil Hill, John Surtees, Niki Lauda, Jody Scheckter, Mario Andretti, Didier Pironi, Michael Schumacher e… lui, la leggenda delle leggende, Gilles Villeneuve, mai conquistatore di un Mondiale, ma dominatore di gare assurte a capolavori, perché il pilota era più forte della sua stessa macchina. Capolavori di abilità, coraggio, spregiudicatezza, passione: virtù e incoscienza che lo accomunavano all’esistenza di Enzo, non a caso si dice sia stato il pilota che il commendatore abbia più amato, nonostante chi avesse soprannominato Villeneuve “l’aviatore”, probabilmente del maggiore Francesco Baracca e del suo cavallino non sapeva nulla.

Durante il Gran Premio del Mugello in questo storico weekend celebrativo, giro dopo giro nulla ci potrà riportare al calvario agonistico su cui le Ferrari si stanno arrampicando, boccheggianti e derelitte. Nella storia di questa stagione, sportivamente tragica perché i grandi sono tali nei trionfi come nelle cadute, niente potrà cancellare il traguardo tagliato dalla casa automobilistica, modenese, italiana. Un traguardo che celebra l’arte, la nostra arte, nella tecnologia e nel design, nell’eleganza e nella potenza. Arte che va oltre, ben oltre, sfreccia ben lontana dalle delusioni di questo 2020 insopportabile per la Ferrari e per l’Italia. Un’arte destinata all’eternità grazie al suo fascino impareggiabile, grazie al suo immortale cavallino, grazie all’amore sconfinato di un grande uomo italiano.

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