PER IL VIGILE DI SANREMO ORA IN MUTANDE CI SIAMO NOI

Invito da subito a non fare troppo gli spiritosi: Alberto Muraglia, 61 anni, è stato reintegrato dalla Corte d’appello di Genova nel suo ruolo di vigile della sezione annonaria nel Comune di Sanremo. Con le sentenze e le toghe non si scherza, altrimenti scattano le querele. Albertone nostro era diventato tristemente famosissimo 8 anni fa quando una fotografia lo ritrasse nel timbrare il cartellino in mutande, con il sospetto che subito dopo fosse andato (o tornato) a dormire. Per questo era stato licenziato e aveva subito l’arresto ai domiciliari per 86 giorni. I fatti hanno dimostrato che invece quel giorno Albertone il vigile, aveva elevato alcuni verbali (essendo assegnato al mercato comunale) per divieto di sosta con annesse rimozioni forzate.

La timbratura in mutande? Viveva in un alloggio comunale a 15 metri dall’ufficio, era in ritardo, non voleva perdere tempo (“Timbro e poi mi vesto”), ma – soprattutto – è passata in aula la tesi della difesa per cui nessuna legge, nessun codice, nessuna norma vieta di timbrare in mutande. Sicché dovrebbe essere consentito, nel caso si abitasse dall’altra parte della città, uscire di casa in mutande, prendere il tram e la metro in mutande, attraversare la strada ed entrare in ufficio, in mutande. Io che lavoro molto a casa, posso scendere la mattina a ritirare la posta, in mutande. Andare a prendere il giornale e il caffè, in mutande. In alternativa ci si veste durante il tragitto, alla maniera di Mister Bean. Non c’è oltraggio al pudore, evidentemente, a patto (forse) che dalla fessura o dagli orli delle mutande medesime non facciano capolino le parti intime. Lo dice, anzi non lo dice, la legge.

Quella operazione che smascherò Albertone, salvo poi rivestirlo con gli abiti della festa 8 anni più tardi, fu condotta nel 2015 dalla Guardia di Finanza che l’aveva ironicamente battezzata “Stachanov” dal celeberrimo operaio russo Grigor’evic Stachanov, il quale nella notte del 31 agosto 1935 estrasse 102 tonnellate di carbone in sole 6 ore, cioè 14 volte la quota prevista, grazie a una tecnica di divisione dei ruoli di produzione da lui ideata e attuata. Quell’operazione della GdF portò a 43 misure cautelari e 196 dipendenti statali indagati. Non si è saputo nulla di quanti e quali siano risultati poi innocenti tra gli altri 195, oltre al nostro Albertone.  Il quale si era inventato nel frattempo un laboratorio per riparazioni al dettaglio, dovendo sbarcare il lunario con moglie e figli a carico, sicché dal risarcimento che gli è ora dovuto verranno defalcati i suoi guadagni in quella nuova attività: gli spettano quindi circa 250.000 euro tra stipendi e straordinari arretrati. Come dicevo, non c’è molto da ridere, semmai da obiettare che – se sei in ritardo – eticamente devi vestirti e poi andare a timbrare, in ritardo, perdendoci qualche euro in busta paga: almeno in quella dinamica un pizzico di furbizia – diciamocelo – era prevista. Nulla però che potesse determinare un arresto, una condanna e un licenziamento. Ipse dixit.
Grazie, Albertone. La giustizia ha stabilito che la tua buona fede, il tuo senso etico e la tua professionalità sono fuori discussione e anzi, in questo tuo “Bread and roses” del nuovo millennio (pane e rose, l’inno dello storico sciopero delle lavoratrici tessili americane nel 1912 a Lawrence) hai sdoganato pane e mutande. Cosa si fa per vivere e per sopravvivere. Per non restare in mutande, insomma.

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