L’OMBRA NERA DI CESARE

di TONY DAMASCELLI – Attimi di entusiasmo, subito scemato, nelle redazioni dei giornali e nella tifoseria juventina, quando è rimbalzata la notizia: si è dimesso P… Non trattavasi di Pirlo Andrea ma di Prandelli Claudio Cesare, la cui storia è già stata vista e scritta e non dovrebbe trascinarsi oltre. Perché Prandelli è ormai un reduce di se stesso, di un periodo di belle cose che lo portò anche a guidare la nazionale, di un periodo facile però già con i primi segnali di fumo grigio, una tragedia famigliare, lo stress, altri problemi di vita privata, il logorio del calcio moderno, un rapporto non chiaro con la squadra.

In un periodo in cui molti hanno perso il lavoro e si sopravvive di ristori, gli uomini del football si possono prendere il lusso di salutare la ditta e di andarsene in lockdown personale, con tutti gli annessi.

Prandelli ha girato il mondo, ha allenato in Italia e all’estero, un estero strano, Turchia e Spagna ma anche gli Emirati Arabi, ha lasciato l’incarico in nazionale dopo il mondiale brasiliano, ha resistito quattro mesi a Istanbul, tre mesi a Valencia, sette mesi a Dubai, sei mesi a Genova, quattro mesi a Firenze, un part time milionario che non è servito a lui e alle comitive frequentate in questi ultimi sette anni.

Al di là del denaro, che non fa mai male, perché mai Cesare dovrebbe insistere? Può vivere senza football, questo football che usa e getta e che lui da tempo ha denunciato di non sopportare. Se ne faccia una ragione, altri prima di lui hanno sofferto ugualmente, dico Sacchi, un soldato giapponese nella docenza calcistica che per esaurimento nervoso ma non contabile, lasciò il campo (non come a Marsiglia) prima del tempo necessario. O Gigi Maifredi il cui calcio champagne prese di tappo o Massimo Giacomini, bollato come portajella dal popolo della smorfia, quello napoletano.

La compagnia di giro prevede il ritorno a Firenze del licenziato Iachini, non c’è trippa per gatti (ehm) nelle casse e dunque meglio puntare su chi è ancora a libro paga. Mi auguro che Cesare prenda atto di avere già dato e pure preso. Lui stesso scrive nella lettera di saluto: “Probabilmente questo mondo di cui ho fatto parte per tutta la mia vita, non fa più per me e non mi ci riconosco più. Sicuramente sarò cambiato io e il mondo va più veloce di quanto pensassi. Per questo credo che adesso sia arrivato il momento di non farmi più trascinare da questa velocità e di fermarmi per ritrovare chi veramente sono”.

Che torni a vivere la vita come sapeva fare da giovane promessa della Juventus, quando si nascondeva negli armadi o sotto il letto del suo socio di stanza, Roberto Tavola, terrorizzato dalle apparizioni, improvvise e notturne, del compagno di gioco. Si dimetta dal calcio, dunque, e cerchi qualche armadio libero.

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