L’ITALIA OPEROSA CHE SOTTERRA I BIGLIETTONI IN GIARDINO

Hai un bel dire alle nuove generazioni che non hanno valori, che fanno vita dissipata e pensano solo al divertimento e non han voglia di lavorare. E poi i trapper, le risse tra bande rivali, le baby gang. Viene facile ed è pure giusto e sacrosanto, poi però ogni tanto, ma nemmeno così raramente, compare in cronaca il mostro insospettabile.

Una famiglia bresciana di Gussago, al limitare della Franciacorta, brava gente, bravissima, lo dicono tutti. La loro ditta smercia materiali ferrosi, profilo basso, lavoratori, gente onesta insomma. Lo sanno tutti.

A condurre le operazioni Giuliano Rossini, 46 anni, e la moglie Silvia Fornari, 40, ma attorno a loro un vespaio occulto di truffatori e delinquenti che a quanto pare con nonchalance mettono in piedi un giocattolo da mezzo miliardo di euro, di cui otto milioni sepolti nel giardino di casa, giusto i risparmi per le meritate vacanze.

Fatture false, conti all’estero, compravendita in nero, reati fiscali a non finire e 18 aziende coinvolte: più industriosi di così si muore, in perfetta linea con gli standard produttivi del Nord sgobbone.

Per qualcuno diventeranno dei paladini, non ho dubbi, il simbolo della furbizia e della scaltrezza: si inventano la loro terra di mezzo, roba che nemmeno Tolkien, e dietro la facciata anonima e rispettabile vivono la loro saga della pila, che in bresciano sta per soldi, denaro, da accumulare il più possibile e giustappunto impilare in modo che arrivi in alto che più in alto non si può.

Questi però, scaltri, han capito che se fai un grattacielo di soldi si nota facilmente e allora hanno scelto la tecnica del tartufo, tutto giù per terra, anzi sotto, senza però tener conto del fatto che esistono i cani da tartufo, e infatti. Tutto giù per terra poi si fa per dire, giusto gli spiccioli si diceva, perché il grosso c’è ma non si vede, altro che mago Silvan.

Proprio su queste colonne, Pier Augusto Stagi parlava del concorso per spazzini a Napoli e dell’Italia che vuole lavorare a tutti i costi e non si siede sul reddito di cittadinanza. Questo è l’antipodo e anche peggio, la frode camuffata da lavoro, nascosta nemmeno sotto il tappeto, ma sotto terra. È l’Italia che da Parmalat in su ha prosperato a suon di truffa, di aggiustamenti, di raggiri, la famosa Italia che si arrangia con la più fertile inventiva, l’Italia di quelli che guardano le proprie tasche e chi è onesto e paga le tasse è solo un pirla, l’Italia che siccome Roma è ladrona ogni mezzo è giustificato per farla franca. È l’Italia delle enclavi, in questo caso un’enclave che è già quasi un principato, con più di cento persone coinvolte, dove ognuno fa le leggi sue, il fisco suo, la morale sua.

La morale sempre doppia, se non tripla, perché magari è anche l’Italia di quelli timorati di Dio, che vanno in chiesa, fan la comunione, confessano le malefatte, ma non proprio tutto, giusto la marmellata rubata alla nonna, e magari all’offertorio si sgravano la coscienza con una bella banconota lavata e stirata, mica nichelini, bontà loro.

E là siamo a Napoli, qui a Brescia, l’industriosa Brescia del Nord che si lamenta per gli aiuti al Sud e dei terroni lavativi e truffaldini. Giusto per capovolgere lo stereotipo.

La verità è che in questa Italia la ruberia non ha coordinate, non ha latitudine e longitudine. E per fortuna nemmeno la gente per bene.

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