IN MORTE DI MAHJUBIN, MARTIRE DELLA LIBERTA’

Se l’occhio assume la prospettiva del grandangolo, credo non si possa negare che poter discutere di libertà oggi in Occidente sia un privilegio. E anche il fatto di non poter essere liberi quando le proprie azioni possono danneggiare chi vive accanto a noi, è un privilegio altrettanto grande.

Per quanto possa far storcere il naso a qualcuno, per quanto possa suonare paradossale, a maggior ragione in questi tempi appestati, poter non essere liberi vuol dire poter vantare un incontestabile privilegio.

Poter parlare, discutere, affrontarsi e scontrarsi sul tema della libertà è e rimane un privilegio assoluto. Persino avere bistrattati e vituperati governi, talvolta corrotti, con tanto di feroce opposizione è un privilegio. E un diritto, salvo ricordarsi che si tratta di un diritto conquistato, non indiscusso come dovrebbe essere e come non è in molti paesi che il grandangolo ci mostra.

Mahjubin Hakimi questo lo sapeva bene. Senza gli arzigogoli del sottoscritto, aveva ben presente che la libertà era qualcosa che non avrebbe mai potuto dare per scontato e che non avrebbe mai davvero conosciuto. Non in Afghanistan.

A un certo punto ne aveva assaggiato un boccone, praticando lo sport che amava, la pallavolo, addirittura senza quel fastidioso foulard sul capo, lo hijab, ma io sono certo che mai abbia potuto assaporare realmente l’illusione che la libertà fosse dietro l’angolo, con quell’incombente minaccia talebana e integralista sempre e costantemente col fiato sul collo.

Probabilmente, mi piace pensarlo e mi commuove, una minaccia rimossa inconsciamente nel bel mezzo di una partita, tra un bagher, un’alzata, una schiacciata e una abbraccio con le compagne di squadra. Ma col pensiero rivolto al futuro quando faceva ritorno a casa: durerà tutto questo? Davvero anche per noi donne è iniziata una nuova era?

Ebbene no, non era iniziata nessuna nuova era. Mahjubin Hakimi non c’è più. Uccisa, probabilmente decapitata. E la sua colpa coincide con la sua gioia: essere donna e giocare a pallavolo.

Libertà è una bellissima parola, dai connotati semantici e filosofici infiniti e dibattuti. E relativi, vorrei ricordare a tutti coloro che in questi mesi dalle nostre parti ne decretano la fine, a tutti coloro che considerano la propria libertà calpestata, semplicemente perché la stragrande maggioranza ha deciso che c’era un chiaro, inevitabile e, allo stato attuale, incontestabile modo di uscire dalla pandemia.

Oppure semplicemente perché non hanno mai conosciuto e assaporato con reale disgusto cosa possa significare davvero vivere senza libertà, in un paese che nemmeno ti consente di pensarla la libertà.

Noi ci arrabbiamo, ci indigniamo, ci opponiamo, manifestiamo, urliamo, scriviamo, facciamo satira e inoltriamo invettive, dimenticandoci che questa è libertà, e dover attenersi a decisioni che in una democrazia ha stabilito la maggioranza nulla ha a che fare con la dittatura.

Mahjubin Hakimi è morta per questo, per molto meno in verità, per chi vuol vedere.

Questa la prosa, la mia prosa.

La poesia sta tutta in un lungo, lunghissimo, fragoroso silenzio. Anche quello eterno di Mahjubin Hakimi.

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