DOVERCI SORBIRE IL MERCATO DELLA BERLINGUER E DELLA D’URSO

Berlinguer. Con un cognome così, la fedeltà, il legame, la coerenza, insomma l’ideologia ereditata e sposata per tutta la vita, dovrebbero essere un monumento inviolabile. Ma lei si chiama Bianca, come il colore che adottava una volta la Democrazia Cristiana, come la bandiera di chi si arrende. La DC fu prima la più grande equilibrista dialettica dei silenzi stampa parlati, poi assoluta precorritrice dei saltimbanchi politici: dalle sue porte girevoli iniziò il travaso inizialmente silenzioso dal centro al centrodestra, al centrosinistra, a destra, a sinistra, sino al finale sottosopra con quel compromesso storico mai nato e definitivamente sepolto col papà Enrico, Berlinguer appunto.

Oggi trasferirsi da destra a sinistra e viceversa, senza nemmeno passare dal “Via!” o dal centro, è un fatto normalissimo, quotidiano, fisiologico diremmo. Ideali e ideologie si trovano solo nelle eleganti toilette di Palazzo Madama o di Montecitorio. Parliamo di storia del Paese, non di sgabelli televisivi. Sta di fatto che oggi Bianca Berlinguer, 63 anni dei quali 34 trascorsi in Rai, prende l’asta e salta da record mondiale: giusto il tempo di congedare uno dei rivali più accaniti, Silvio Berlusconi (col quale ebbe più di uno screzio in diretta nei suoi programmi), ed eccola atterrare sul materasso Mediaset, sbattendo alle spalle la porta della tv di Stato.

Mi sembra l’aspetto più curioso di cui parlare, rispetto a questo trasferimento che invece – manco fosse Mbappè al Milan o Gerry Scotti a condurre il Festival di Sanremo – sta riempiendo prime pagine e intere pagine interne di giornali e riviste. Insieme con titoli e grida di disperazione per la cancellazione in palinsesto di “Cartabianca”, programmino da 7-9% (ad andare bene) di ascolto imperniato su confronti politici equamente distribuiti per voci e interventi, ma più ancora sul patetico teatrino col montanaro Corona..

Nel frattempo sulla sponda opposta un’altra bandiera, come si dice al calciomercato, lascia poltroncina e sgabelli vuoti: Barbara D’Urso saluta Cologno Monzese.

Non so, non penso, non voglio credere che tolga il sonno ai telespettatori italiani questa estate di mercato di piccolo cabotaggio del piccolo schermo (non solo al femminile, peraltro: a parte l’insopportabile addio di Lucia Annunziata, sopportiamo anche i traumi di Fabio Fazio ceduto a Warner Bros Discovery Italia – “La Nove” –  e agli addii di Flavio Insinna e Massimo Gramellini).

C’era una volta la tv di Stato italiana che si spartiva conduttori e programmi come seggi, le tv private che stendevano tappeti rossi a nipoti, cugini, figliastri e soprattutto nipotine, cugine, figliastre…

Oggi in Rai (contate i seggi, pardon le poltrone) c’è più democrazia che per strada, mentre a Mediaset le porte sono aperte a tutti. A chiunque.

Cari miei, tra bandiere, bandierine e banderuole, nel calcio come in politica e in tv non ci si può più affezionare né alle squadre, né agli spettacoli, né tanto meno ai protagonisti. Restiamo asettici e imperturbabili, che tanto dopo aver sfogliato questi articoli sotto l’ombrellone, in autunno torneremo a seguire le nostre amate serie e lasceremo questi souvenir estivi ai loro soliti, scontati, 3-6%.

Se avessero mandato la signora in giallo da Colombo, o Grissom da CSI a Low&Order, allora sì avremmo fatto la rivoluzione. Ma erano altri tempi, certi rischi non si correvano.

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