CELLULARE IN CLASSE: PER ME VALDITARA HA RICICCIATO UNA FINTA NOVITA’

Avevo la netta sensazione che non si trattasse di una novità, il divieto di uso dei cellulari a scuola che ha posto il ministro Valditara al centro del mirino in questi giorni. In effetti, dopo una ricerca facile facile – su internet, ovviamente – si ha la conferma che praticamente in tutta Europa vige questa norma, o legge, a seconda dei casi.

Comunque è un fatto che dal 2007 nel nostro continente gli studenti non possano usare smartphone durante le ore di lezione, se non a scopi didattici. Stiamo quindi commentando di fatto una non-notizia, suffragata dalle dichiarazioni del direttore di “skuola.net”, Daniele Grassucci: “Il ministro Valditara non ha introdotto nessun divieto di uso dei cellulari a scuola, ha semplicemente ricordato l’esistenza di una serie di atti normativi, risalenti al 2007 a firma Fioroni, che suggeriscono alle scuole di adottare regolamenti, comprensivi di sanzioni, per evitare che gli studenti usino smartphone o altri dispositivi elettronici durante le attività didattiche se ciò non è correlato alle stesse. Al contrario, Valditara apre all’uso degli smartphone per le attività didattiche, seguendo una linea tracciata dalla ex ministra Fedeli e non conclusasi con una normativa vera e propria. Insomma, la circolare dell’attuale Ministro dell’Istruzione e del Merito è idealmente un atto bipartisan, visto che segue la scia di due predecessori di area politica opposta. Il vero problema sarà far rispettare la norma: oggi il 40% degli studenti non è soggetto a regolamenti scolastici sul tema e, laddove esistono, solo il 13% afferma che vengono rispettati da tutti”.

L’aspetto interessante della questione è che questo risveglio, o refresh per dirla smart, del Ministero nasce da uno “studio conoscitivo” ed è qui che i conti non mi sembrano tornare. Non frequento più i banchi da molti decenni, purtroppo, ma grazie a Dio incontro spesso studenti di scuole medie superiori e universitari per presentazioni, seminari, convegni. Dai fitti scambi con loro, ho la precisa conoscenza del fatto che sappiano usare cellulari e smartphone assai meglio di noi, dal punto di vista tecnico e dei contenuti. Non ho dubbi su questo.

Anzitutto, sono meno compulsivi degli adulti e se è vero che – sempre secondo certi studi conoscitivi – la maggioranza dei giovani in età scolastica (università compresa) trascorre una media di 5-6 ore al giorno sugli smartphone, dato cui non credo, solo una piccola parte di loro si dedica ai giochi, agli insulti social, al bullismo, al cazzeggio tipico invece degli adulti. Tra di loro vige prematuramente quella regola non scritta che annulla la distinzione tra il mondo virtuale delle tastiere e quello reale: la reputazione. E in questo i giovani sono più bravi, esperti e veloci degli adulti nel compiere la selezione naturale tra i coetanei, vicini, frequentati o remoti. L’utilizzo degli smartphone è finalizzato per lo più ad appuntamenti, scambi e ricerche. E sto parlando di quella famosa maggioranza silenziosa che si sfila dai dibattiti, che non interviene infatti per protestare sul nuovo provvedimento che nuovo non è affatto, proprio perché non è necessario imporgli che durante le lezioni lo smartphone non si usa se non per scopi didattici: già non lo fanno per conto loro.

Perché prolungarsi sull’argomento? Condivido la risposta twittata in proposito dal direttore di Radio1Rai e dei GR, Andrea Vianello (“I problemi vanno affrontati tutti da un Governo”, in sostanza), a chi ne fa una questione politica, per cui bisognerebbe interessarsi prima e più a fondo di altre cose. Il fatto è che epoche e generazioni volano via e si succedono, ma nonostante i cambiamenti profondi e repentini di questi ultimi 50 anni, le situazioni si ripetono. Dalla matita ai computer, nelle mura di un istituto sopravvivono comunque capisaldi perenni. Un mio professore di liceo pretendeva che durante le sue lezioni i banchi fossero vuoti, né penne né libri né quaderni né altro. Solo per i compiti in classe erano ovviamente tollerati una biro e i fogli necessari: l’apprendimento doveva avvenire per via mnemonica e per questo dedicava agli alunni più in difficoltà attenzioni maggiori e pazienti, amorevoli. Nulla, ma proprio nulla di nuovo – dunque – sul fronte accademico.

Semmai, si potrebbe invece introdurre uno spicchio di insegnamento dedicato proprio all’uso degli smartphone. Non per quanto riguarda la tecnologia in quanto, ripeto, i giovani nascono assai più digitali di quanto non siamo noi adesso, ma sui contenuti. Un’ora la settimana dedicata all’uso corretto dei social, i metodi di ricerca, il tema delle fake news, le possibilità quasi illimitate della navigazione. L’aspetto ironico è che a tenere queste lezioni sarebbe certamente un docente sotto ai trent’anni.

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