C’E’ UN LIMITE ANCHE ALLA MESSA BALNEARE

Don Bernasconi e i suoi ragazzi si trovavano in Calabria per partecipare a un campus di Libera. L’idea è nata dopo aver visto che la pineta era già occupata. L’altare? Un materassino, in mezzo al mare.

Don Mattia Bernasconi, viceparroco della pastorale per i giovani della parrocchia di San Luigi Gonzaga di Milano, ha infatti celebrato messa in località Alfieri, una delle spiagge più suggestive del crotonese. A mollo. Trattandosi di una domenica, bisognava anche occuparsi della liturgia. A quel punto, constatata l’impossibilità di utilizzare la pineta del campeggio, già occupata, è scattata l’idea: «Faceva molto caldo – spiega don Mattia – così ci siamo detti: perché non in acqua? Una famiglia ci ha sentiti e ci ha messo a disposizione il loro materassino, che abbiamo trasformato in altare. È stato bellissimo, anche se ci siamo scottati».

Questa la notizia. Va ricordato che don Mattia si è scusato per aver urtato la sensibilità di molta gente, anche di quella – numerosa – che ha reagito alle immagini e alla notizia che è entrate nel web e – come si usa dire – “è diventata virale”. Tanto che la Procura della Repubblica di Crotone ha aperto un fascicolo, avviando indagini per “offesa a una confessione religiosa”. Una messa che offende la religione cattolica, a questo non eravamo mai arrivati, effettivamente.

Ma l’evento di Crotone è la punta estrema di una sensibilità diffusa sia a nord che a sud di Crotone. Molte delle messe che si celebrano obbediscono alle esigenze dei “clienti”. Restiamo alla domenica. La messa di prima mattina è per chi deve partire o per chi deve preparare il pranzo di famiglia. La messa di metà mattina è per chi ha voluto mettere d’accordo un po’ di sonno in più e qualcosa da fare prima di mettersi a tavola. La messa di fine mattina è per chi si è goduto un meritato riposo, quello che è negato agli altri giorni della settimana. Le messe del pomeriggio e della sera sono l’esatto opposto di quelle del mattino: queste erano per chi doveva partire, queste sono per chi deve tornare. Poi ci sono, alla domenica e in altri giorni, le messe dei ragazzi, le messe degli anziani, le messe dei malati, le messe degli sportivi… Una volta c’era anche la messa dei cacciatori che si celebrava alle quattro del mattino.

La logica è evidente: la messa si adatta a tutti. Ma, per rispondere alle varie categorie di “clienti”, la messa diventa sempre più di pochi, spesso di pochissimi. E la scarnificazione si è accentuata negli ultimi tempi perché alla moltiplicazione dei gruppi si è assommata la diminuzione di chi è interessato alla messa. A Crotone, all’esiguità del gruppo si è aggiunta la perdita dello spazio, dei paramenti, di tutto l’armamentario sacro. L’altare, centro di tutta la struttura simbolica della messa, è diventato un materassino gonfiabile.

Da qualche parte si sente l’esigenza di una qualche marcia all’indietro: non le molte messe per pochi, ma le poche messe per molti. Fino all’estremo opposto che qualcuno ha iniziato a sognare: una sola messa per tutti. Con il ricupero di uno spazio e di un insieme di simboli adeguati. “Adeguati”, però, non vuol dire molti o moltissimi, ma di numero e di evidenza su misura della comunità che celebra. Oltretutto le nostre comunità che partecipano alla messa sono sempre più ridotte. I nostri chiesoni dove i pochi fedeli sono come naufraghi in mare non vanno bene e andranno sempre meno bene nel futuro. Come non vanno bene le vesti liturgiche arzigogolate e pesanti. Una piccola comunità ha bisogno di uno spazio ridotto e di vesti semplici. Non il costume da bagno di don Mattia, certo, ma neppure i paramenti dei pontificali del Papa.

“Ogni sacrestia ha la sua liturgia”, si diceva una volta con un malcelato tono di disprezzo. E invece: ogni sacrestia deve avere la sua liturgia. A una sola, necessaria condizione però: che resti una liturgia.

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