LA CRIMINALE AVIDITA’ CHE CONTINUA A CONSUMARE SUOLO

Quanto spazio viene consumato dalle città italiane, quanto terreno viene edificato, cementificato ogni anno in Italia? Tanto, tantissimo e a ritmi elevatissimi. Ancora e sempre. La popolazione cittadina, quella ufficiale almeno, non è aumentata in modo sensibile negli ultimi dieci anni, eppure le aree urbane continuano a estendersi, l’edificazione non conosce soste.

Brescia, ad esempio, che Ispra (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) e Snpa (Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente) indicano come capolista assoluta di questa poco lusinghiera classifica. Per un curioso gioco di parole, la condotta di Brescia riesce a essere molto e poco edificante allo stesso tempo. 307 ettari ricoperti di cemento proiettano la Leonessa in cima alla hit parade. Qualcuno da quelle parti (Alessandro Gatta per “Brescia Today”) riesce persino a tradurre il dato in campi da calcio: sarebbero 430, bravo chi riesce a immaginarli tutti affiancati e chi riesce a immaginare 430 partite di calcio tutte in contemporanea, una di fianco all’altra.

Qualcuno (sempre Alessandro Gatta) da quelle parti sottolinea che oltre che con le opere utili e con le infrastrutture, parolaccia che include tutto e soprattutto il suo contrario, il consumo del suolo ha a che fare con la “cultura del capannone”, la stessa che avvolge tutto il Nord in realtà, il Nord locomotiva e traino dell’economia nazionale, il Nord che non si può fermare mai, il Nord che può inquinare, cementificare, asfaltare tutto, anche in modo figurato. Tutto contemporaneamente, tutto plausibile.

Che tutto questo possa avere relazioni con la sfacelo del pianeta ovviamente a nessuno viene in mente, o meglio, viene in mente ai piloti delle locomotive come un dipinto astratto, il cui significato è legittimo travisare.

Dopo Brescia, ben distanziate, ma comunque in zona Champions e con un rendimento di tutto rispetto, seguono Roma, Napoli, Verona. Poi Torino, Chieti, Bergamo, Novara, Lecce, Modena e poi tutte le altre. Ognuna con le sue buone ragioni, qualcuna con ragioni oggettive poiché ospitano opere di utilità nazionale, ma tutte pronte a dire inevitabile quel che è stato e quel che è. Che poi sia inevitabile in virtù della pecunia che porta alle casse dei Comuni rimane una malignità dello scrivente.

Tra le città che continuano a consumare suolo c’è anche Milano, sia pure molto meno di altre (19 ettari nel 2021), e in generale la Lombardia, capolista tra le regioni, prevedibilmente. Eppure, sia a Milano, che comunque nell’ultimo decennio ha avuto la sua parte del leone, che a Brescia, ad esempio, io vedo un’infinità di spazi vuoti, abbandonati, spazi che un’anima ingenua vorrebbe occupati, recuperati, utilizzati, in cambio di meno cemento e meno espansionismo urbano.

Parole da ecologismo del secolo scorso, mi rendo conto, ma per coincidenza temporale il pensiero corre ai posti che ci sono e ci sono da tempo, piuttosto che ai posti che bisogna creare, sia quel che sia il motivo.

Io, anima ingenua al cubo, corro con la mente ai Posti Sinceri, forse avventatamente, ma in fondo si parla di geografia, di luoghi, di coordinate. Posti Sinceri sarebbe una pagina Instagram gestita da due giovani che vogliono riscoprire la “Milano più umile e semplice, più sincera”, per usare le parole di Viola Stefanello su “Repubblica”.

“Tabaccherie e bar dalle insegne démodée, tavole calde con sedie e tavolini di plastica, osterie che vantano date di fondazione di oltre cinquant’anni fa, bocciofile e circoletti che scandiscono da decenni la vita quotidiana dei residenti: dal 2018, Posti Sinceri colleziona luoghi profondamente radicati nel tessuto urbano di Milano”, dice ancora Viola Stefanello.

Confermano i due giovani, “oggi, almeno per noi, Posti Sinceri è un progetto politico, evidenzia ed esorta a scegliere un’alternativa all’idea imperante nella nostra città basata sull’apparenza, su un’idea consumistica dei luoghi di aggregazione e della socialità. L’omologazione e la centrificazione dei quartieri a Milano rischiano di fare sparire questi posti a discapito di catene, franchising e locali alla moda che nulla hanno da dire sull’identità e la storia della città e dei suoi abitanti. Rifiutiamo il modello Milano, ovvero di una città che si basa essenzialmente sul lavoro e sul consumo e che riduce anche la vita aggregativa ad un prodotto e non a un momento da vivere.”

Posti Sinceri è già diventato un libro, edito da “Il Saggiatore”, e ogni volta che partono i lavori per un nuovo centro commerciale – a Brescia, tanto per tornare sul luogo del delitto, un evento tutt’altro che sporadico, provare per credere -, io non riesco a pensare ad altro che a quei Posti, che ci sono e resistono, a Milano come a Brescia o a Chieti.

Non si conoscono i nomi degli autori, i più scafati magari sapranno. Io sono pigro, non ho intenzione di indagare. Per quel che mi riguarda vanno benissimo anonimi, ma sinceri.

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