Pur tenendo conto dei limiti di sintesi così stringate, e prendendole così come ci vengono riferite, si devono notare alcune elementi che diventano significativi, anche oltre i confini della Russia e oltre l’invasione in Ucraina.
Alla base delle affermazioni di Kirill si potrebbe parlare di una specie di doppio cortocircuito. Il primo è l’identificazione di fatto tra Vangelo e morale. È noto che Vangelo e morale sono legati e che il Vangelo suggerisce anche una certa morale. Non si può essere discepoli di Gesù di Nazaret e rubare, violentare donne o bambini…
Ma il Vangelo non si identifica con la morale. Gesù e la sua “bella notizia” non sono un codice di comportamento, seppure grandioso e nobile. Kirill invece, in questo caso, fa coincidere Vangelo e morale. E questa morale: no alla omosessualità. Sulla quale ci sarebbe pure da discutere per bene e da distinguere. È proprio necessario fare una guerra agli omosessuali? E che dire di tutte le situazioni, anche culturali, che devono essere tenute presenti per capire questo fenomeno e per capire, nello stesso tempo, tutti i comportamenti morali? È già discutibile giudicare, ancora più discutibile fare una guerra.
Ma c’è il secondo cortocircuito, il più inquietante: la lotta ai gay coincide con la guerra in Ucraina. E qui le difficoltà diventano gigantesche. Davvero non si capisce che cosa c’entrino i cannoni che sparano su Kiev, gli aerei che scaricano bombe e la lotta agli omosessuali. Una morale che passa attraverso la morte, questa morte, in questa guerra, in realtà, non ha più nulla di morale. E non ha più nulla, ma proprio nulla, di evangelico.
A questo punto il Vangelo, quello che resta del Vangelo, è diventato un puntello alla politica, quella di Putin, e alla sua guerra, quella in Ucraina. Putin, ovviamente, ne trae qualche vantaggio. È un po’ difficile immaginare quali vantaggi ne possa trarre il Vangelo.