L’ITALIA IN GINOCCHIO PER ZUCKERBERG, IL SIGNOR METAVERSO CHE VALE UN’INTERA NAZIONE

Supponiamo per un momento che il signor Fumagalli Silvano, titolare dell’omonima bulloneria nel cuore della Brianza, fondata dal nonno Umberto, trovandosi a Roma di passaggio decida di far visita al presidente del Consiglio Mario Draghi e si presenti pertanto al portone di Palazzo Chigi. «Se dovessero chiedermi il motivo della visita – riflette tra sé – risponderò: metaverso e stampaggio a freddo in generale». Ebbene, pensate che lo lascerebbero passare? No di certo. C’è anzi il rischio che lo facciano identificare dai carabinieri e che, tornato in Brianza, si ritrovi alle prese con un bell’accertamento fiscale. Stesso trattamento sarebbe riservato a qualunque altro titolare di una delle 206mila piccole o medie imprese italiane. «Il dottor Draghi non c’è e se c’è ha altro da fare».

Così non accade se al portone si presenta Mark Zuckerberg, quello di Facebook – pardon: di Meta -, ma anche di Instagram e WhatsApp. Se arriva lui, il portone di Palazzo Chigi si spalanca subito benché, per quanto espertissimo di “metaverso”, Zuckerberg di stampaggio a freddo non sappia un centesimo di quel che il Fumagalli Silvano ha appreso in anni di lavoro. Eppure, se guardiamo ai titoli, uno è imprenditore quanto l’altro: né più né meno.

L’esempio non è affatto ipotetico. Il fondatore di Facebook è stato ricevuto a Palazzo Chigi da Draghi, accompagnato, così riferiscono le agenzie, dal ministro alla transizione digitale Vittorio Colao. Certo, la politica è (anche) gestione della realtà e dunque non si può far finta di non sapere che Zuckerberg è un personaggio di gran peso nel mondo e che la tecnologia da lui rappresentata gioca un ruolo fondamentale nello stampaggio a freddo di quel che sarà il futuro. Non si può biasimare il governo italiano se, al pari di altri governi, cerca accordi e collaborazioni con un signore tanto importante: bisogna tenersi sempre al passo con la tecnologia, nel caso un domani si bloccasse la stampante almeno sappiamo chi chiamare. Nonostante ciò è difficile scrollarsi di dosso la sensazione inquietante provocata dall’evidenza che imprenditori privati del calibro di Mark Zuckerberg, Jeff Bezos ed Elon Musk – solo per citare i più famosi – vengano trattati alla stregua di capi di Stato. Saremo ingenui, ma abbiamo sempre creduto che un presidente o un monarca venuto in visita rappresenti con la sua persona la nazione che lo ha scelto – si spera liberamente – come leader, e non un consiglio di amministrazione o un’assemblea degli azionisti.

La realtà però ci dice che questi personaggi vengono trattati come capi di Stato perché rappresentano aziende che vantano profitti equivalenti al Prodotto interno lordo di nazioni non trascurabili, impiegano direttamente o indirettamente un numero di persone (Zuckerberg chiama i suoi dipendenti “metamates”) sufficiente a popolare un Granducato o almeno un Principato, e detengono poteri finanziari in grado di incidere in modo significativo sulla stabilità economica mondiale.

E’ dunque ovvio che per loro le porte siano sempre aperte, mentre il Fumagalli Silvano fatica a farsi ascoltare e se per caso vantasse un credito nei confronti dello Stato può solo sperare che prima o poi (quasi sempre poi) la burocrazia si ricordi di lui. Il crescente potere – accompagnato da una fascinazione altrettanto dilagante – che questi mega (o meta) imprenditori hanno accumulato in tempi recenti pone nuovissimi interrogativi in fatto di etica, di rapporti tra Stato e capitale e di tutela dei cittadini, sia come soggetti politici sia come soggetti economici. Ma siamo probabilmente solo alla prima fase del fenomeno per cui, al momento, ai giganti dell’economia globale il mondo offre quasi soltanto ammirazione e devozione. A negarsi quando costoro vengono in visita – e Draghi deve averlo intuito – c’è solo il rischio di ritrovarsi sostituiti da una versione più aggiornata.

 

 

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