VIALLI-MANCINI E LA RETORICA DI UN ABBRACCIO NORMALE

di LUCA SERAFINI – Quanto ci sono mancati? Abbiamo vissuto prigionieri in isolamento, mesi lontani gli uni dagli altri bluffando su fidanzate e congiunti pur di vedere qualcuno. Incontrare qualcuno. E abbracciarlo. Abbiamo sofferto impotenti la pena altrui, malati che lasciavano questo mondo senza poter più toccare figli, mogli, mariti, nonni… Senza l’ultimo abbraccio di saluto.

Ora non riusciamo più a staccarci da quella immagine cui l’Italia si è incollata, dopo i gol che hanno consentito agli azzurri di battere quella scorbutica Austria e passare ai quarti di Euro 2020. L’immagine di Roberto Mancini, CT della Nazionale, e Gianluca Vialli, suo fido aiutante in panchina. Due amici da 30 anni, due figli sampdoriani del presidente padre Paolo Mantovani. Abbracciati in una bella storia di amicizia, di calcio e sì, di gioia.

Gianluca lotta da anni contro il male che lo ha aggredito, con tenacia e determinazione come quando giocava insieme con il Mancio, il quale invece lotta e vince da anni su molte panchine d’Europa, lucido e convinto.

Da giorni quell’immagine è pubblicata e messa in onda, postata e ripostata, quasi stucchevole nella sua ripetitiva retorica. Quasi sproporzionata rispetto al semplice, spontaneo gesto di due amici che stanno vincendo una partita di calcio, importante, ma una partita di calcio. Nulla di così commovente o toccante, se ci pensate bene: un semplice abbraccio tra amici, come succede tra tutti gli amici. Nulla di così struggente se immaginiamo un abbraccio tra Mancini e Vialli la prima volta che il primo è andato a trovare il secondo in ospedale.

Eppure. Eppure l’abbraccio è un gesto di cui abbiamo bisogno, di cui a volte non siamo capaci, così intimo e riassuntivo da non poter diventare spot da mondovisione. Stiamo a discettare così tanto sui gesti, sui loro significati, sulla coscienza di chi lo compie e di chi preferisce evitare. Quanti padri, fidanzati, figli non sanno abbracciare. Quante donne hanno paura di farlo.

Mancini e Vialli no. Si sono abbracciati con impeto fraterno ed eravamo schiacciati lì, in mezzo a loro, soffocati in quella morsa euforica e ora continuiamo a guardarli.

Siamo stati così tanto tempo invocando un abbraccio, magari nemmeno nostro ma facendo pietosamente il tifo perché potessero abbracciarsi altri in un ospedale, in un cimitero deserto. Oggi in quella stretta tra Mancini e Vialli c’è quello di cui avremmo bisogno tutti una volta al giorno almeno, ma come sempre ce ne rendiamo conto quando non si può fare. Adesso abbiamo questa immagine azzurra a ricordarcelo.

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