È così: nel nostro Paese puoi scrivere sui social network “investire un ciclista per educarne 100”, senza incorrere in nessun tipo di conseguenza. Che male c’è? D’altra parte puoi ammazzare con il Tir un campione di nome Rebellin Davide e, non curante di tutto e di tutti, rifugiarti in Germania senza che nessuno ti torca un capello.
E’ così, tra reale e surreale, tra cronaca e incredulità: al tribunale di Pistoia si è conclusa la prima fase del processo contro l’odiatore di ciclisti che sul web – quattro anni fa – aveva invitato alla violenza contro chi pedala, in seguito a un incidente in cui era stato coinvolto un atleta professionista in Toscana (Daniel Felipe Martinez). Marco Cavorso, padre di una vittima della strada (ha perso Tommaso, 13 anni, in sella alla sua bicicletta, ndr), con l’Associazione Corridori Ciclisti Professionisti Italiani, aveva denunciato per istigazione a delinquere, aggravata dalla diffusione a mezzo informatico. Tutto inutile: il giudice si è espresso per l’assoluzione. Entro 90 giorni verrà depositata la sentenza, entro 135 giorni si potrà fare appello.
Nel frattempo, Davide Rebellin è dal 30 novembre in attesa dell’autopsia e, quindi, delle esequie. In compenso c’è un giudice della Repubblica che ha pensato bene di calpestare ancora un po’ il buonsenso e il dolore, con una sentenza che parla da sola, e lascia senza parole. “Investire un ciclista per educarne 100” non è un’invettiva scellerata. Le parole non sono più né pietre né tantomeno macigni: sono tutt’al più una lapide, ad imperitura memoria della stupidità umana.