Il quarantenne rampante e 50° vicepresidente americano JD Vance si rivela molto bene all’opinione pubblica, nel memorabile incontro tra Trump e Zelensky.
Tra l’altro, come un vero e proprio imbucato, perché Reuters dice che la sua presenza non era prevista nel protocollo dell’agenda. Riesce perfino a rubare la scena al suo capo, comportandosi da pitbull affamato e scatenandosi sulla preda ucraina, preso in contropiede da tanta ferocia.
Tra le frasi più crude pronunciate dallo spavaldo americano in faccia al turbato presidente in guerra riportiamo “hai detto una volta almeno grazie?”, oppure “con tutto il rispetto, penso sia irrispettoso da parte tua venire nello Studio Ovale e cercare di litigare davanti ai media americani”, come se fossimo nientemeno che al programma di bon ton “cortesia per gli ospiti”. A ogni frase la sua autostima cresce e l’intesa con il padrone Trump lo corrobora, pensa già a una ricompensa. Annotiamo anche i suoi sorrisini beffardi alla domanda di uno scellerato giornalista “perché non indossi un completo?”, in questo caso ci trasferiamo alla fashion week di Milano. Insomma, una vera lezione di bullismo in diretta mondiale. Per contenuto prima e solidarietà poi, tutti in curva nord per Volodymyr.
Chi è questo aitante Vance? Leggendo il suo curriculum, salta all’occhio subito la sua grande coerenza politica. Prima di essere eletto senatore per i repubblicani nel 2023, è stato un accanito sostenitore del movimento “Never Trump” (mai Trump), per poi saltare sul carro del vincitore, smentendo le proprie idee con la stessa netta determinazione di cui si fa vanto.
E’ descritto come un neo reazionario, un conservatore nazionale, un populista di destra, convinto antiabortista e feroce oppositore dell’immigrazione. Un passato da marine, laurea e dottorato in giurisprudenza, giornalista, partecipa a diverse imprese di venture capital, scala in fretta la carriera politica anche grazie al libro che gli fanno scrivere nel periodo degli studi, “Elegia americana”, che più tardi il “New York Times” definirà come “uno dei sei migliori libri per aiutare a comprendere la vittoria di Trump”, mentre altri giornali criticano Vance, definendolo “il diffamatore bianco preferito dai media liberali” e il “falso profeta dell’America blu”.
Un personaggio tipicamente a stelle e strisce, che spacca l’opinione pubblica, ma che piace molto a chi ama essere adulato in modo smodato e fideistico. Il suo passato è perfetto per la gestione del potente Donald: un tipo che parla alla pancia della gente, deciso e monodirezionale, ubbidiente, spaccone e ringhioso. Non si sa fino a quando, ma l’incontro con Zelensky ha fatto capire di che pasta è fatto l’uomo. Uno che abusa del proprio potere da numero due e che si mette in mostra prendendosi anche delle libertà, in nome del proprio ruolo e per accattivarsi il capo potente.
Già è chiara un’avvisaglia della sua stoffa il 14 febbraio 2025, in un discorso tenuto alla Conferenza di Monaco sulla sicurezza, quando afferma che la principale minaccia per l’Europa non proviene da forze esterne come la Russia o la Cina bensì dall’interno, cioè dagli stessi leader europei che accusa di minare i valori democratici reprimendo la libertà di parola e ignorando le opinioni degli elettori quando ad esempio chiedono un maggiore controllo sull’immigrazione.
Credo che se vogliamo capire bene un’amministrazione o un governo, non basta guardare i leader, aiuta di più analizzare la gente di cui si contornano. Il quadro sarà allora più completo e capiremo meglio la qualità dei valori, lo spessore delle teorie, la consistenza delle strategie. Più gente qualificata vedremo e meglio sarà, indipendentemente dalle capacità del leader. Non mi riferisco solo agli USA, il metodo vale anche per i partiti politici, per le amministrazioni locali, per ogni organizzazione civile. Al contrario, se verificheremo che la maggioranza delle persone incaricate sono improvvisati baciapile yes-man senza una base etica, direi che ci dovremmo preoccupare.
Abbiamo capito a che categoria appartenga JD Vance, aggiungerei per lui l’aggravante di una sua personale dose di cattiveria e arroganza, che gli fa vincere l’invidiabile titolo virtuale di uno dei peggiori e pericolosi giovani politici mondiali in circolazione, rappresentante perfetto di un suprematismo bianco dilagante.