VEDERCI BENE NELLA VITA GRAZIE ALLA NEBBIA

Nella nebbia, Gino Cervi non si perde. Sogna, anzi. Vede oltre. Lui ci è nato, nella nebbia: è stata sua compagna andando a scuola, per le stradette del pavese, sulle rive del Ticino. Non gli ha mai nascosto nulla, rivelandogli invece mondi sconosciuti e paesaggi sorprendenti.

Gino cresce in una cascina ai bordi della Zelata, per poi dedicarsi all’editoria di alto livello: dizionari, enciclopedie, manuali di storia, letteratura, geografia. Ha redatto le domande della versione italiana di “Trivial Pursuit”, è appassionato di sport, calcio e ciclismo, cui ha dedicato manoscritti da solo e in compartecipazione. Collabora con “Il Foglio”. Si definisce “meccanico di libri” altrui, poi però ci regala finalmente questa perla intrisa di poesia e mai malinconica, facendoci vivere la nebbia come una festa, un’introspezione serena. Non c’è solitudine nella sua ovatta umida, nei prati nascosti, “ciò che cela il vapor che l’aere stipa” a dirla come Dante, citato con amore insieme a Cochi e Renato (“Cosa c’è nella nebbia in Valpadana, ci son cose che a dirle non ci credi, non ci credi nemmeno se le vedi, a parte il fatto che non le vedi”), Paolo Conte (“E’ grigia la strada, è grigia la luce, e Broni, Casteggio, Voghera son grigi anche loro, c’è solo un semaforo rosso quassù”).

Dopo il rondò della Binasca c’è il sole, sparisce “quella cosa in Lombardia”, antica canzone canticchiata da Gino sul treno che lo portava a Milano, quando ci ha vissuto prima di tornare a Pavia, dove a volte per rientrare a casa deve toccare i muri rossi, alla cieca. Vicoli così stretti che fa fatica persino la nebbia ad insinuarsi. Ma da quell’opaco vapore Cervi fa sbucare l’infanzia, nomi, aneddoti e personaggi di un’altra epoca, quella in cui i bambini giocavano saltando sulle balle di fieno, in cui i giovani, gli universitari, sognavano medicina, giurisprudenza, la città, per poi sbatterci contro e finire a fare gli scrittori.

Nel suo gioco di penombre, scomparse e apparizioni, Gino Cervi naviga nei ricordi della nebbia che aiutò il suo amato Milan a Belgrado in quella storica sfida alla Stella Rossa nell’88, poi quel bizzarro ospite di “Portobello” di Enzo Tortora che lo fissava con gli occhi sgranati come il suo pappagallo: quel signore, tale Piero Iacono di Agrigento, aveva la soluzione per liberare la Pianura Padana dalla morsa della nebbia, una volta per sempre. Un concetto semplice e chiaro: aprire una porta come si fa in casa per cambiare aria, abbattendo il Turchino a livello del mare per far circolare, appunto, l’aria. Fa niente se sarebbe stato necessario sfollare migliaia di abitanti e cancellare un passaggio epico della Milano-Sanremo, “con le vittime che fa la nebbia la priorità è sconfiggerla”. Progetto sparito nella nebbia, ovviamente. E per fortuna.

Ediciclo Editore ha sfornato a 9,50 euro questa perla incastonata in 90 pagine di lirica pura, “La fabbrica della nebbia”, in cui “si nascondono questioni private con cui sarà bene fare i conti”, dove ci si imbatte in “spessori concreti, una vera e propria muratura di vapori” come nel cammino del partigiano Milton. Un mondo incappucciato che Gino Cervi scoperchia con amore: già solo per questo vale la pena leggerlo. E accompagnarlo.

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