Felpa rossa, cappellino bianco, sorriso largo che non si spegne mai, distribuisce abbigliamento e scarpe sportive a chi, soprattutto bambini, ha perso tutto negli incendi di Los Angeles. Lo fa come una volontaria qualsiasi, anche se lei una qualsiasi non è: si chiama Vanessa Bryant e cinque anni fa ha perso in un incidente in elicottero il marito campione di basket Kobe e la figlia tredicenne Gianna. Nel loro ricordo porta avanti la fondazione benefica che sostiene i giovani atleti meno abbienti, offrendo loro opportunità nello studio e nello sport: oggi è la Mamba & Mambacita Sport Foundacion, dal soprannome con cui era nota la superstar Nba e da quello adottato dalla figlia. E con il suo ente è subito scesa in campo nel momento dell’emergenza.
“La nostra fondazione ha fatto il primo passo per sostenere i bambini e le famiglie che hanno dovuto lasciare le loro case”, scrive Vanessa nel ringraziare chi, come i sostenitori della sua organizzazione ma pure i dirigenti della squadra di baseball dei Dodgers, si è dato da fare per distribuire in poche ore ottomila capi di vestiario e scarpe da basket a chi si è ritrovato senza casa dopo i roghi di inizio anno. Un’operazione che avrà un seguito perché, come dice la vedova Bryant, “c’è molta strada davanti a noi per la ripresa, restate in contatto con noi per aiutare Los Angeles nella ricostruzione”.
Di voler sostenere gli abitanti delle zone più colpite della città californiana Vanessa l’aveva anticipato nei giorni scorsi sui social, ricordando che subito dopo il loro matrimonio lei e Kobe avevano preso casa a Palisades, la zona dove hanno avuto origine gli incendi più devastanti di questo periodo. “Abbiamo tanti bei ricordi della nostra vita lì, il mio cuore e le mie preghiere vanno a chi sta subendo perdite e devastazioni”, aveva postato l’ex modella americana, mostrando di esser già al lavoro con la fondazione legata al marito e alla figlia per un sostegno concreto, a cominciare dai più piccoli.
Donare, restituire a chi ha ricevuto meno è sempre stata una delle missioni di Kobe Bryant, la più italiana delle stelle del basket americano: otto anni della sua vita spezzata a soli 42 anni il Mamba li ha infatti spesi da ragazzino nel nostro Paese, al seguito del padre giocatore fra Rieti, Reggio Calabria, Pistoia e Reggio Emilia, dove ha lasciato amici ed è tornato spesso. La sua generosità non si lega solo alla fondazione ora portata avanti dalla moglie, ma a tanti gesti quotidiani compiuti lontano da riflettori e pubblicità: era questa l’unica condizione che il campione ha sempre posto quando si è mosso di persona laddove scopriva che un suo gadget o un semplice sorriso sarebbe stato il migliore degli aiuti.
A violare il patto di segretezza sul fuoriclasse filantropo è stata una dottoressa di Phoenix: pochi giorni dopo la tragedia che l’ha portato via, ha raccontato di quando Kobe, leggendo la richiesta di autografo giunta da un bimbo di 5 anni colpito da una malattia incurabile, si presentò all’ospedale dell’Arizona prima di una partita per passare un po’ di tempo con il piccolo malato. Per quasi un’ora giocò con la palla da basket insieme al bambino, regalandogli i momenti più felici della sua breve vita. Quando lasciò il reparto chiese ai responsabili in che modo potesse contribuire alle cure, restando deluso nel sentirsi rispondere che purtroppo di speranze non ce n’erano.
Di questo Kobe, e della figlia Gianna, il 26 gennaio saranno cinque anni dalla tragica scomparsa: ci saranno discorsi e commemorazioni, articoli di stampa e ricordi televisivi. Ma ciò che Vanessa in questi giorni difficili sta facendo in loro nome è di gran lunga il più degno degli omaggi.