UNA NUOVA: FACCIAMO IL PONTE SULLO STRETTO DI MESSINA

A Bergamo si dice: “Amò turna!” (Ancora, di nuovo!). Il che, a un dipresso, sta a significare che una cosa, periodicamente, si ripropone, come un autentico tormentone. La forma dialettale sottintende anche un modesto stupore per la pervicacia dimostrata, nonché una leggera insofferenza nei confronti di un tema già proposto e riproposto.

Entrambi i casi mi sembrano attagliarsi assai bene a questa ennesima reiterazione dell’idea, a mio parere balzana, di costruire il famoso ponte sullo Stretto, stavolta rimessa in gioco dal neoministro Salvini. Ora, a parte che, nelle mie modestissime aspettative di lombardo, mi aspetterei che il leader di un movimento che si chiama Lega Nord esordisse dedicandosi a temi un tantino più prossimi, geograficamente, a casa mia, ma questa magari è un po’ meschina e egoistica, credo che questa cosa del ponte abbia davvero tediato tutti quanti. E non mi stupirei se l’elettorato leghista, già largamente in fuga, la mettesse nello scomparto dove tiene le ragioni di mugugno contro l’attuale gestione salviniana. Ma, oltre a queste motivazioni, diciamo così, rapsodiche, ci sono altri pensieri che mi aleggiano per il capo, rispetto a questo progetto faraonico.

Il primo è che, per unire maggiormente la Sicilia al continente, si potrebbero adottare sistemi meno rischiosi dal punto di vista strutturale e meno costosi da quello esecutivo: quella è terra di terremoti e farci un ponte non mi sembra un’idea brillantissima. Così dicono anche molti tecnici. Inoltre, incrementare i servizi di collegamento già esistenti mi pare che potrebbe bastare: non immagino milioni di Siciliani in movimento verso nord né il reciproco sulla rotta opposta. Il secondo motivo è che non mi fido neanche un po’ del modo in cui vengono fatte le grandi opere in Italia: troppi sono i rivoli da cui passano i denari della corruzione e, nel caso di un ponte sullo stretto di Messina, la corruzione si chiamerebbe mafia e i rivoli rischierebbero di essere fiumane. In definitiva, dunque, un cantiere del genere mi parrebbe un’occasione ghiottissima, messa su di un piatto d’argento, per la malavita organizzata: vi ricordate il megaprogetto per il porto di Gioia Tauro? Beh, io sì: un mare di soldi nelle tasche dei criminali e un bel buco nell’acqua per lo sviluppo del sud.

Non capisco se questa idea fissa del ponte sullo Stretto sia ripullulata nel pirotecnico cervello del Salvini dopo una cena con Berlusconi, felicitata da libagioni abbondanti, oppure derivi dalla sua attuale sicinnide meridionalista, per la quale, pur di accreditarsi come segretario di un partito nazionale, sarebbe disposto a scrivere sonetti in panormita illustre e a vestire la coppola. Fatto sta che quella del ponte mi sembra una boiata sesquipedale e il meridionalismo di Salvini mi suona falso come una banconota da tre euro. Pensi, piuttosto, all’inquinamento che ci soffoca o ai cavalcavia che cascano a pezzi, se proprio deve darci un’immagine di efficientismo interventista: di ponti giganteschi, piantati in mezzo a un’area sismica e ad alto tasso mafioso, non sappiamo proprio che farcene.

E, poi, questa smania dei grandi lavori pubblici. Non è che, per dare l’immagine di una Nazione in ripresa, basti inventarsi opere pubbliche a gogo: le opere pubbliche vanno benissimo per un new deal di stampo rooseveltiano, ma devono essere utili alla Nazione, non a qualche mammasantissima. Altrimenti, quando mi faranno ministro di questo e di quello, proporrò la costruzione di un ponte tra Lignano e Portorose, giusto per incrementare il turismo adriatico. E avanti così, con i progetti a vanvera: tanto, le palanche ci cascano dalle tasche.

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