UNA LEZIONE DA IMPARARE

di GHERARDO MAGRI – La grandiosa inaugurazione del Nuovo Ponte di Genova mi ha fatto riflettere, al di là della gioia spontanea che ho provato nel vedere rinascere un’opera così importante, necessaria, bella e sicura. Così carica di simboli e di significati.

Cosa ci ha portato – noi italiani, gli stessi che l’hanno fatto crollare – in soli 620 giorni a raggiungere e aggiungere un altro record tipicamente nostrano? Il talento di Renzo Piano e il suo team? Senz’altro fondamentali, ma da soli non sarebbero bastati. Le aziende che hanno messo a disposizione le migliori professionalità e strumenti? Certo che sì, non tali comunque da giustificare l’exploit. I politici locali e la politica che hanno a de-burocratizzato i processi? Bravi, ma non decisivi. L’opinione pubblica, i comitati, le organizzazioni che hanno spinto sui tempi? Un plauso, nemmeno loro determinanti però. Tutte queste e altre ragioni messe insieme? Una maggiore determinazione l’hanno prodotta di sicuro: non sufficiente a cambiare radicalmente la situazione.

La risposta forse la dobbiamo cercare nel concetto dello “stress test”. Di origine finanziaria, la speciale condizione è stata inventata in ambiti bancari: una sorta di laboratorio virtuale per verificare la tenuta delle aziende in caso di forti ed estreme avversità.

A prendere il posto delle simulazioni di forti criticità, nel frattempo, è arrivato il Coronavirus, che ha gettato chiunque e qualunque azienda in una realtà da stress test globale, e anche di più. Pensiamo, per esempio, al sistema sanitario nazionale e alle terapie intensive: nessuno ha mai neanche lontanamente pensato di potersi trovare in una situazione così. Non sarebbe stato cruciale aver pensato ad uno stress test?

Caliamoci nel concreto. In azienda, più di un collega ha sostenuto che, in questo maledetto periodo, abbiamo ottenuto grandi risultati solo perché ci siamo trovati di colpo in mezzo al guado: senza tempo a disposizione, con soluzioni da trovare subito a zero investimenti e da sperimentare immediatamente, anche dribblando pastoie procedurali.

Sì, sono totalmente d’accordo con loro. Proprio ora, ci siamo ingegnati a fare qualcosa di più e qualcosa di meglio senza fermarci e senza demotivarci. Cercando la collaborazione negli altri colleghi, abbattendo barriere relazionali ataviche. L’abbiamo fatto. Punto.

Abbiamo diversi casi concreti di successo da citare. Il training online ai professionisti costruito dal nulla, le soluzioni tecnologiche per lo smart working trovate in tre giorni, alcune discussioni strategiche di prodotto e progetti internazionali risolte in tempi stretti, le tante scintille di motivazioni individuali e collettive sorte spontaneamente, ecc. ecc..

Ecco, così penso sia nato anche il miracolo del Ponte di Genova. Perché la gente si è messa in una condizione mentale e fisica da stress test. Inconsapevolmente magari, ma di sicuro ispirata da una condizione totalmente speciale. Qual è la differenza tra stress test ed emergenza estrema? Apparentemente poca, ma c’è ed è molto significativa: lo stress test si può programmare e simulare, l’emergenza vera no, te la trovi sbattuta in faccia.

Allora, pensiamoci. Sta a noi, soprattutto a chi ha il potere di farlo, il compito di far diventare lo stress test uno strumento standard, molto utile anche in tempi di pace per poter scatenare risorse nascoste e pronte a rompere gli schemi classici. Molto difficile, perché quando le cose si rimetteranno a posto, saremo umanamente portati a dimenticare e a ricalcare gli stessi schemi di sempre. La prossima sfida? Dimostrare di aver imparato la lezione.

 

 

 

 

 

Un pensiero su “UNA LEZIONE DA IMPARARE

  1. Ignazio Termine dice:

    Sono pienamente d’accordo con la sua analisi. Aggiungerei anche che siamo italiani che, per definizione, sono in grado di toccare il fondo dell’inferno e le cime del paradiso. La nostra storia lo ha sempre dimostrato: siamo i più bravi al mondo quando decidiamo di esserlo. Occorrerebbe una pubblicità progresso che ce lo ricordi, ogni giorno.

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