di TONY DAMASCELLI – Se Dio salva la regina, il Var salva l’Inghilterra. Roba d’altri tempi, quando c’era Lui, cioè l’arbitro e basta. Oggi qualche cavedano abbocca al Var, nel senso della moviola tecnologica, dimenticando che la decisione finale spetta al suddetto direttore di gara, fischietto, giacchetta nera, secondo il bignamino giornalistico.
L’arbitro, anzi gli arbitri, assistenti di linea, addetti al Var, consulenti dello stesso, in totale i magnifici sette, roba da avanspettacolo visti i risultati. Sconsacrato ancora una volta il tempio di Wembley, nel sessantasei con un gol farlocco, mercoledì sera con un rigore inventato appunto dai sette di cui sopra. E per fortuna che il calcio si evolve e diventa infallibile grazie alle tecnologie: guarda caso, nel nuovo millennio vale ancora la regola di una volta, il paese ospitante va sempre spinto con gli aiutini e fine dei discorsi.
E allora che roba è ‘sto Var? Si apre e si chiude come una fisarmonica, dipende dal musicista e dai suoi umori e amori. Totale: l’Inghilterra va in finale, dopo aver dominato la partita, ma con quel little help che a quanto pare non disturba se non chi lo subisce, e i danesi difatti, abituati alle favole, non hanno digerito la “cruda realtà”.
Finale di lusso, noi e loro, loro e noi, il principe William e Mattarella nel royal box e fra loro Ceferin, per il quale è sempre necessaria una didascalia che ne spieghi identità e funzioni.
Si narra che a bordo del nostro aereo presidenziale sia stato collocato un mazzo di carte, non si sa mai, in caso di trionfo una scopetta a quattro come ai tempi di Pertini non guasterebbe in quest’Italia contagiata, non soltanto dal virus. Di certo non ci sarà Draghi Mario, il quale, qualche settimana fa, aveva invitato Uefa e affini a traslocare altrove la sede della finale, causa Curva Covid. Ora se mai venisse in mente, al Draghi, di mettere piede sull’isola, sappia che lo attenderanno palate di fish and chips. In quel caso nemmeno il Var gli sarebbe utile.