UN 25 APRILE ANCHE IN TV: LA LIBERAZIONE DAL DURSISMO

In zona 25 aprile la storia ci ha regalato un’altra liberazione, questa minuscola e accessoria, comunque io non la butto via: finisce la dittatura della D’Urso e del Dursismo. Rinfacciandole l’ennesimo fallimento, stavolta con “La pupa e il secchione” (così dicono le agenzie), Mediaset è arrivata alla conclusione di accompagnarla definitivamente alla porta: tante grazie, è stato bello, ma basta così. A quanto pare, il contratto va in scadenza e nessuno glielo rinnoverà. Amen.

Non c’è italiano che non sappia cosa s’intende per Dursismo, e in fondo è per questo che la notizia non sfuma come una delle tante notizie idiote di sottocultura gossip. Parliamo di una vera icona del nostro tempo, in tutto e per tutto, entrata di prepotenza nel nostro immaginario e nei nostri modi di dire, il Dursismo paradigma, paragone e prototipo. C’è da chiedersi cosa aspetti ancora la Treccani a schiaffare il fenomeno tra i suoi vocaboli ufficiali. Come a una fiera permanente del trash e del kitsch, nel pollaio di questa conduttrice è sfilato veramente di tutto, sempre allo stesso modo e allo stesso livello. Ad ogni momento ti aspettavi che entrassero il nano e la donna barbuta. Molti si ostinano a chiamarla televisione di evasione, ma è un’evasione rocambolesca dalla misura, dallo stile, dalla sobrietà. Molti si sforzano anche di chiamarla televisione nazional-popolare, ma i titolari della cattedra – vedi Baudo, vedi la Carrà – giustamente si rivoltano sul posto, ovunque essi siano.

Giocando proprio su questo travestimento dell’intrattenimento leggero, la D’Urso di è permessa qualsiasi cosa, finendo tragicamente per crederci, per prendersi sul serio. A un certo punto, debordante di fatuo potere, si è persino messa il vestito e la postura dell’anchorwoman, candidando il suo studio a diventare la quarta Camera della repubblica (la terza resta di Vespa, e chi la tocca). Forte del suo carisma, la signora di casa ha raschiato tutti i fondi di tutti i barili, con alcuni spunti che resteranno memorabili, come tastarsi le poppe con evidente compiacimento, anvedi quanto so’ sode, anvedi quanto so’ bona, tutta madre natura, che tte credi. Scene e atmosfere che neanche al mercato del pesce.

Adesso che la sbattono fuori, diventa persino impietoso infierire. Conviene limitarsi a festeggiare la liberazione. E oltre tutto non è giusto concentrare il tiro tutto su di lei: come sotto il balcone di Benito c’erano migliaia e migliaia di italiani in festa, sotto al balcone – una quinta, a occhio – della D’Urso ci sono andati servili e ossequiosi fior di leader politici (velo pietoso), nonchè milionate di telespettatori adoranti. Dunque, se consegniamo alla storia il fenomeno D’Urso per un giudizio inquietante sul suo spaccio reiterato di vuoto, qualcosa dovremo dire anche su quelli che l’hanno guardata, non una volta per curiosità, ma sempre, con passione, con fedeltà, con devozione.

E comunque, sempre prudenza con le feste di liberazione. La D’Urso e il Dursismo escono dalla porta di Mediaset, ma possono tranquillamente rientrare dalla finestra. Magari la finestra Rai. La nostra civiltà televisiva è piena zeppa di questi ripescaggi, a spese nostre: certe signore e certi signori della tv hanno sempre qualcuno che li stima e li aspetta negli uffici della televisione pubblica. Vedi la Ventura, vedi la Isoardi, vedi Diaco, vedi eccetera. Nel momento del bisogno, la Rai sa essere materna. O almeno zia.

Quanto a Mediaset, nessun dramma e nessun vuoto. Per una certa televisione, per un certo livello, per una certa Italia, lì circola ancora a piede libero la De Filippi: in confronto, la D’Urso è sempre rimasta una povera dilettante.

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