UCCIDERE I FIGLI GIOCANDO AL GUERRIERO

Bang, un colposo deflagrare, quattro vite annientate. Così è la via dell’autodistruzione, pare tutto inebriante mentre si è rapiti dal fascino euforico di qualcosa che ci cattura, impadronendosi dei nostri bassi istinti.

Una droga, un paradiso artificiale che fa sentire più forti e invincibili, anche questo è una pistola, un fucile, un’arma da fuoco.

L’ultimo bollettino è quanto mai tragico. San Felice del Benaco, sponda bresciana del lago di Garda, un papà e il figlio tredicenne alle prese con il fascino malefico di un fucile, da ammirare, forse da pulire. Una delle tante armi che si trovano in casa, non sappiamo cosa accada esattamente, ma a un certo punto parte il colpo, la figlia, la sorella quindicenne colpita in pieno petto esala l’ultimo respiro, la sua famiglia fa altrettanto, in qualche modo.

Le indagini, l’assunzione di colpa da parte del padre per coprire il figlio che ha premuto il grilletto, la custodia delle armi, va bene tutto ma non va bene niente. Un bel niente.

Perché è vero che ci siamo assuefatti alle vicende di cronaca d’oltreoceano che periodicamente ci raccontano tragici stermini in scuole, centri commerciali, parcheggi e chiese, ma questa nefasta attrazione per le armi da fuoco non ha confini e anche da noi semina discepoli. Discepoli che si illudono di essere in pieno controllo della situazione, ignari che una droga è ingovernabile e trova sempre il modo per insinuarsi subdola nel cervello di chi la assume. Maggiore l’illusione del controllo, più subdole le lusinghe.

Una droga maschia, virile, da muscoli ipertrofici, una droga che vorrebbe dire al mondo quanto il proprio apparato genitale sia enorme e possente.

Una droga da ipodotati in realtà. Dal collezionista al cacciatore, adulti solo all’anagrafe che giocano a fare la guerra: chi contro uno stormo d’uccelli, chi contro l’invasore, chi in armistizio in attesa delle ostilità, chi semplicemente mostra gli attributi.

E li mostrassero una buona volta, mi vien da dire, se davvero sono così possenti e impressionanti. Sapremmo che sono loro i veri eredi di Priapo, figlio di Afrodite e certamente simbolo di vigore sessuale e procreativo. Ma allo stesso tempo da alcune fonti descritto brutto, impotente e tardo di mente.

L’uomo non sa fare a meno di giocare alla guerra, di imbracciare un’arma, millenni di storia lo dimostrano, ma è un uomo che crede di essere adulto ed è rimasto invece bambino, e un bambino nemmeno troppo sveglio. L’uomo gioca a fare la guerra, poco importa chi sia il nemico, ma non è un vanto, non è un merito, vorrei ricordarlo.

Nelle romantiche narrazioni che riguardano i nostri nonni, i nostri avi, compare spesso l’orgogliosa nota ‘ha fatto la guerra’, come se di per sé si trattasse di un eroico privilegio. Non lo è, aver dovuto imbracciare un’arma per uccidere il nemico, sia pure contro la propria volontà e forzatamente, è una sconfitta. Sempre.

Una sconfitta personale e ancora di più una sconfitta generazionale.

Eppure continuiamo a subire il fascino distruttivo di grilletti, caricatori, mirini. E carni squarciate. Già più di dieci anni fa risultavano ameno quattro milioni di famiglie ‘armate’ in Italia, ed è importante sottolineare famiglie, non persone.

Armi d’istruzione di massa, di quelle avremmo bisogno, ma un cervello grosso e duro chi lo vuole più, ormai.

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