TUTTO NORMALE IN TERRAZZA SENTIMENTO

di ELEONORA BALLISTA – Sul “Corriere” parla la modella di 18 anni brutalmente stuprata da Alberto Genovese, l’imprenditore di 43 anni ora arrestato.
L’intervista di Giuseppe Guastalla, raccolta nello studio dell’avvocato della giovane, Luigi Liguori, è lunga, e ad ogni riposta data non so se essere più stupita o più preoccupata. O tutte e due le cose. Ricapitolando, a fatica.

Il giornalista chiede alla ragazza se alle feste di Genovese in “Terrazza Sentimento” (nome sublime: proprio lì, dove i sentimenti erano gli unici assenti) ci fosse qualcosa di strano. Risposta: “No. L’unica cosa sbagliata era l’eccesso di droga. C’erano dei piatti da cui tutti potevano prendere cocaina e cocaina rosa. In qualsiasi festa della notte a Milano la trovi, ma non così tanta”.

Quindi la vittima – perché da qualsiasi punto la si guardi, questa ragazza resta una vittima – ritiene normale la presenza di droga alle feste milanesi, solo che qui ce n’era un po’ troppa.

“Alla festa c’era gente della moda e della musica, un bell’ambiente che non mi appariva pericoloso. In questo mondo è normalissimo l’uso di droga”. Ma a lei, sottolineiamolo, non appariva pericoloso.

La diciottenne era andata alla festa con un’amica, ma verso le 22,30 avevano deciso di andarsene: “Non ho ricordi precisi. La mia amica mi ha detto che avevamo deciso di andarcene perché lui (Genovese) aveva cominciato a essere molto molesto nei nostri confronti, ci seguiva. Infatti ci siamo dette: stiamo sempre insieme, non ci separiamo mai”.

E qui la percezione che ci fosse un pericolo, forse, cominciava a sfiorarle.
Ma andiamo avanti.

Quando le ragazze sono arrivate alla festa, Genovese ha dato loro qualcosa che solo la ragazza poi stuprata ha preso volontariamente. “La mia amica ha detto che dopo mi comportavo in modo strano, poi ho perso la memoria”.

Segue una ricostruzione forzatamente confusa del suo risvegliarsi nella camera da letto dell’imprenditore, con la sensazione di avere avuto un incubo, ma anche col dubbio che le sue fossero solo “paranoie” (parole sue), del sentirsi in pericolo di morte e di avere per questo mandato un messaggio col cellulare all’amica che è rapidamente giunta sotto casa di Genovese.

“O mi fai scendere o lei chiama qualcuno”, avrebbe detto la diciottenne all’imprenditore.

Finalmente riesce a uscire da quella casa, passa una Volante, le ragazze la fermano e denunciano la violenza.

Ma non è finita. Guastalla giustamente chiede: “Più di venti ore sequestrata in una stanza: ma i suoi genitori non l’hanno cercata?”. Risposta: “Ovviamente sì. Mi vogliono molto bene. Ma nonostante la mia giovane età sono molto indipendente, sanno che faccio la mia vita. Appena mi sono svegliata ho scritto loro che stavo bene per non farli preoccupare. Dopo che ho denunciato la violenza li ho avvisati”.

“L’hanno dipinta come una poco di buono?” “Certo. Hanno detto che sono una escort. Io non ho mai fatto niente del genere, non mi hanno mai offerto dei soldi per andare a queste feste. Erano feste normali (!), non orge”.

Mi fermo qui e azzardo una riflessione complessiva.

Questa ragazza che, ripeto, è certamente una vittima non solo di Genovese ma anche, forse soprattutto, di sé stessa, considera normali cose che normali non sono, proprio per niente: l’uso di droga alle feste, basta che non sia tantissima; la frequentazione di party alla moda (qualunque cosa succeda a questi eventi) come un “plus” personale (io sì che sono figa – perdonate il termine, ma le diciottenni userebbero questo -, io ci posso andare); la non preoccupazione dei genitori perché “loro sanno che sono indipendente, che faccio la mia vita”. Ma quale vita?

Torna la domanda di sempre, ormai: dove sono finiti i valori, certi valori? Probabilmente in quel piatto con la cocaina rosa.

Mai come adesso c’è bisogno di ripensare alle cose importanti, che non significa per forza cose serie o noiose. E’ giustissimo il divertimento, sia benedetta la spensieratezza dei diciotto anni. Ma proprio questa storia conferma come e quanto sia necessario che le famiglie ri-mettano un po’ di punti fermi, ben chiari, su cosa è giusto e cosa non lo è.

Per mettere punti fermi, però, bisogna esserci. Soprattutto quando loro, i figli, rivendicano la pretesa di essere cresciuti. Quando basta un vassoio di polvere per convincersi d’essere cresciuti.

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