Si comincia a Monaco, 14 giugno, si finisce a Berlino, 14 luglio. Su il sipario con Germania-Scozia, i padroni di casa favoriti (con Francia e Spagna) per la vittoria finale, contro una squadra che sembra patire la sindrome degli ultimi chilometri: si qualifica spesso a Europei e Mondiali, ma non fa mai strada.
Statistica singolare: solo 3 volte in 17 edizioni la Nazionale ospitante ha vinto la coppa. Per la cronaca la Spagna (1964), l’Italia (1968), la Francia (1984).
Noi ci arriviamo da campioni in carica, dopo la sorprendente vittoria di 3 anni fa in Inghilterra senza stelle, senza bomber, ma con una difesa marmorea e Chiesa mattatore. Buon centrocampo, bell’ambiente, grande armonia tra il CT Mancini e i fidi Evani e Vialli, amici dai tempi della Samp. I primi due non sono più nello staff, il terzo non è più con noi avendoci lasciato un cratere di umanità, karma, classe.
Stavolta cominciamo con l’Albania. C’è Lucianone Spalletti con i suoi metodi un po’ antichi nella disciplina e molto moderni nella disposizione. Via cuffie, playstation e telefonini nei momenti da condividere, puntualità, niente scherzi (in tutti i sensi) fuori dal campo, dopo di che invece grinta, pressing, ferocia, organizzazione. Senza paura, magari con un pizzico di divertimento. Un decalogo parziale, perché si ferma a pochi punti essenziali, ma da interpretare alla lettera. Ci sarebbe anche la questione del modulo, duttile (difesa a 3 se l’avversario attacca a 2, difesa a 4 se l’avversario attacca a 3), ma ve la risparmio volentieri.
Sono finiti i tempi dei dualismi e delle staffette, non ci sono più discussioni su grandi esclusi perché di grandi esclusi non ce n’è più. Le nostre grandi squadre di club non competono con il portafoglio di quelle inglesi, spagnole e tedesche, ma portiamo ripetutamente Roma, Atalanta, Fiorentina, Inter in finale (un paio vinte) nelle coppe europee. Non abbiamo grandi solisti azzurri, ma l’Europeo 2020 giocato nel 2021 lo abbiamo vinto noi.
Vuoti azzurri che si ripetono dal Mondiale trionfale del 2006, capocannonieri Materazzi e Toni con 2 soli gol, ma il collettivo con due attributi così. Da allora singhiozziamo, abbiamo saltato gli ultimi 2 Mondiali – per dire – senza avere quella ciclica, storica tendenza a esprimere il meglio nel peggio: più ci danno per sfavoriti, più li facciamo neri.
C’è questa chance adesso? Difficile, complicato. Un centravanti da Nazionale non lo abbiamo più da lustri interi, il povero Immobile faceva sfracelli nella Lazio e però nell’Italia balbettava. Ora abbiamo questo gigantone promettente, Scamacca, verso il quale i più severi sono proprio i suoi allenatori: indolente, pigro, inespresso. Ha 25 anni, ha cambiato maglia 10 volte negli ultimi 9 anni. Chissà, magari l’Atalanta e Gasperini lo hanno svegliato, magari sta per finire il torpore di bomber spesso annacquato.
Il blocco azzurro è nerazzurro, perché oltre a Scamacca ci sono gli interisti Bastoni, Dimarco, Barella, Frattesi. I migliori di tutti, un gradino sotto c’è Chiesa, ma se sarà “quel” Chiesa, quello del 2021 che poi non abbiamo più visto per infortunio, per lungodegenza, per convalescenza e poi per mal di pancia nei confronti di Allegri alla Juve. Poi c’è Pellegrini, capitano della Roma, che se in vena potrebbe fare la differenza. Stiamo bene a portieri, specie se Donnarumma scremasse qualche papera e somigliasse a quello del 2021; discretamente in difesa con la nuova stella Buongiorno, il capitano con la valigia Di Lorenzo al momento ancora del Napoli, rabbioso e scalpitante; assortiti a centrocampo con il solito Jorginho croce – e che croce – e delizia – rara – in regia, Fagioli e l’invenzione Folorunsho.
Ma è in attacco, è la davanti che in partenza ci mancano i graffi, che dobbiamo pregare più che sperare. Siamo aggrappati a Scamacca e Chiesa, il resto sono mezze incognite (Raspadori e Retegui), ibridi (Zaccagni), usato non troppo sicuro (El Shaarawy).
L’importante come sempre è farsi trovare pronti, è tirare fuori anche quello che non si ha, è imitare quelle molte Italia che arrivavano magari incerottate o poverelle e poi stupivano. Non avevamo più Rivera e Mazzola, Boninsegna e Riva, Rossi e Bruno Conti, Scirea e Oriali nemmeno nel 2006, nemmeno 3 anni fa, eppure abbiamo vinto. Mettiamola così. E preghiamo, appunto, non a caso aggrappati a Chiesa.