TUTTI ALLA GUERRA DEL GLUTINE

di PAOLO CARUSO (agronomo) – Il tema dell’alimentazione e la correlazione tra cibo e salute, da qualche tempo, imperversano sul circuito mediatico.

Le statistiche in campo medico giustificano questo interesse: negli ultimi venti anni si è rilevato un aumento esponenziale delle malattie cronico-degenerative correlate anche al regime alimentare adottato.

Tra le patologie in continua ascesa, la celiachia, le intolleranze al glutine (gluten sensitivity) e la sindrome dell’intestino irritabile stanno assumendo una significativa rilevanza sociale. Per questo motivo il ruolo che il frumento, e in particolare le proteine del glutine, svolgono nella nostra dieta viene ampiamente analizzato e i temi di questo dibattito spesso oscillano tra punti di vista totalmente divergenti.

Il frumento rappresenta una metafora perfetta di questo dibattito, da un lato rappresenta il 20% dell’approvvigionamento di calorie della popolazione umana, dall’altro, anche per la sua presenza di glutine, è considerato responsabile di diverse patologie e disfunzioni.

Una interessantissima e completa analisi del problema è stata recentemente realizzata da Patrizia Marani, autrice del documentario “Gluten, l’ennemi public?” (Gluten, public enemy n.1), disponibile sul sito di ARTE (https://www.arte.tv/it/videos/090077-000-A/glutine-il-nuovo-nemico-pubblico/), fino al prossimo 12 maggio.

Il documentario, prendendo spunto dal ruolo del frumento nella nostra dieta, narra in realtà della diversa visione che si ha del cibo, a livello produttivo, industriale e tra i consumatori.

Gli interessi della grande industria alimentare spesso sono antitetici al concetto di salute pubblica, sostenibilità e sicurezza alimentare, e trovano una comoda sponda nel circo mediatico, che traendo linfa economica da questi gruppi industriali, alimenta e incoraggia il consumo dei loro prodotti, vero e proprio termometro dell’adozione di stili di vita assolutamente contrastanti con il buon senso.

Come affermato nel documentario dal professor Fasano, direttore del reparto di Gastroenterologia Pediatrica e Nutrizione al Massachusetts General Hospital di Boston e massimo esperto al mondo in fatto di patologie celiache e intolleranze, il glutine è un veleno per i soggetti celiaci, mentre le persone che godono di buona salute riescono a tollerarlo, manifestando come effetto sporadico solo un rallentamento della digestione.

Il glutine allo stato puro non è presente in natura, esso è il risultato dell’unione di due proteine presenti nel grano e in altri cereali (segale, orzo, avena, farro, monococco, triticale), ovvero gliadine e glutenine, che all’atto dell’impasto con acqua si fondono dando origine al glutine.

Il nostro organismo non è predisposto alla digestione completa di questo composto proteico, ma riesce solo a farlo in maniera parziale lasciando delle frazioni, dette peptidi, indigerite, responsabili, a volte, di disturbi fisiologici.

Alla celiachia, negli ultimi tempi, si è aggiunta un’altra patologia, la cosiddetta “sensibilità al glutine non celiaca”, di natura incerta e per questo ancora più subdola della precedente, che non prevede una risposta autoimmune o allergica, ma che provoca un permanente stato infiammatorio dell’intestino.

I soggetti coinvolti nella realizzazione del documentario, tra i più preparati e citati nel panorama scientifico mondiale, concordano nel considerare queste moderne patologie come effetti di un cambiamento delle modalità e delle varietà di frumento coltivate negli ultimi anni.

I grani che venivano coltivati fino a sessant’anni fa sono completamente diversi da quelli attualmente in produzione, da un punto di vista agronomico e qualitativo.

Il professor Dinelli, ordinario di Agronomia all’Università di Bologna, interpellato sulla questione, imputa l’introduzione dei cosiddetti grani moderni al surplus di nitrati e fosfati, sostanze chimiche necessarie alla costruzione di ordigni, che l’industria chimica ha dovuto smaltire nel secondo dopoguerra. L’idea è stata quella di utilizzarli come fertilizzanti e considerato che i grani antichi, per caratteristiche morfologiche e agronomiche, non rispondono in maniera ottimale alla concimazione chimica, sono stati realizzati programmi di miglioramento genetico aventi per obiettivo la sostituzione degli stessi con varietà meglio performanti.

L’obiettivo è stato raggiunto, ma questo incremento delle rese ha, parallelamente, comportato un netto disinteresse per gli aspetti qualitativi delle produzioni, così le nuove varietà ottenute possiedono una qualità del glutine assolutamente differente da quello dei predecessori. Il glutine dei grani moderni è significativamente più tenace di quelli antichi, e conseguentemente occorre più forza meccanica per romperne le molecole. Questo assunto ha fatto sorgere il sospetto, non ancora dimostrato scientificamente, che la stessa difficoltà potrebbe essere incontrata anche dal nostro sistema digerente, con le relative implicazioni patologiche.

Quasi fossimo in presenza di un glutine “buono” e un glutine “cattivo”.

Ovviamente, scoperta la criticità, la moderna industria agroalimentare si è affrettata a creare un nuovo business per cavarcarla, nello specifico il settore del “gluten free”, comparto in netta ascesa che alcune attendibili previsioni quantificano in 36 miliardi di euro il giro d’affari per il 2027.

Facendo largo uso di testimonial più o meno disinteressati, questo settore sta rapidamente scalando le classifiche del business agroalimentare, facendo leva su una percezione, quasi sempre infondata, che il glutine sia responsabile di anomalie del benessere fisico e che l’abbandono del suo consumo consentirebbe performance significativamente migliorate.

Il documentario si occupa anche dell’utilizzo di glifosato per favorire la maturazione del grano in zone del mondo a climi umidi non adatti alla maturazione naturale, ma questo aspetto, per la delicatezza del tema e per le incredibili implicazioni medico scientifiche, merita un dettagliato approfondimento che seguirà prossimamente.

In ogni caso, è chiaro a tutti: occorre incentivare l’informazione su tutti gli aspetti che riguardano il cibo e ciò che ruota intorno, un mondo che spesso condiziona scelte che invece dovrebbero essere libere e consapevoli.

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