TUTTA LA (SCOMODA) VERITA’ SUL MONTE DEI PASCHI

di MARIO COMANA – Perché protestare, fare polemiche, chiedere audizioni parlamentari oggi sulla possibile cessione parziale di MPS a Unicredit? Perché gridare allo scandalo quando finalmente si appalesa (spintaneamente, cioè con leggera spinta) un possibile acquirente? Non sapevano coloro che solo adesso si agitano, che la Commissione Europea aveva acconsentito alla ricapitalizzazione del 2016 a condizione che l’ingresso del Tesoro fosse temporaneo, cioè non potesse andare oltre il 2021? Dove sono stati in questi cinque anni i paladini della difesa del marchio, della senesità, dell’autonomia del Monte, mentre la banca si deteriorava giorno dopo giorno a causa dell’altra sciocca, miope richiesta dell’Europa, di ridimensionare sempre più il Gruppo MPS?

Molti di loro erano proprio al governo, insieme a Padoan prima (toh chi si rivede!) e a Tria dopo (meno male che non si rivede). Ma evidentemente del Monte non gliene importava granché, visto l’assordante silenzio di tutto questo tempo. Perché un esito diverso era possibile, se solo la vicenda fosse stata gestita meglio anche solo dal 2016 in poi (per tacer dei precedenti).

Incominciamo con il dire che, a differenza di quanto comunemente si ritiene, MPS era una gran bella banca, almeno fino all’infelice operazione di acquisizione di Antonveneta, che ha dissanguato lei e la sua Fondazione madre. Era uno dei punti di riferimento del sistema creditizio nazionale, una scuola di formazione per tanti professionisti del settore. E anche oggi il Monte ha una valida struttura aziendale, competenze elevate, una rete commerciale che ha dimostrato grande qualità, soprattutto una tenuta sorprendente nei momenti più bui ante ricapitalizzazione. Anche la qualità del credito – le famose sofferenze, o come si chiamano oggi gli NPL (non performing loans) – non era di molto peggiore del resto del sistema, ma purtroppo difettava la disponibilità di patrimonio per fronteggiare quel peso. A proposito di perdite su crediti: qualcuno chiese di mostrare l’elenco dei principali debitori insolventi. Non se fece nulla, ma posso assicurarvi che quella lista non sarebbe stata tanto diversa da quella di tutte le altre maggiori banche italiane. Sì, forse qualche gentile concessione in più agli amici dei politici in carica ci fu, ma non crediate che non avvenisse anche altrove. Insomma, una gestione del credito non proprio rigorosa può esserci stata, ma non in misura macroscopica.

Così MPS arriva al 2016 con un urgente bisogno di nuovo capitale che nessun socio privato vuole mettere. Il Governo italiano chiede, secondo le nuove regole europee, di poter intervenire temporaneamente a sostegno della banca: destina 5,4 miliardi, a vario titolo, divenendo azionista di maggioranza al 64%, con l’impegno a cedere il controllo appunto entro 5 anni. In altri Paesi, vedi Regno Unito e Stati Uniti, l’operazione si è risolta con una bella plusvalenza per i contribuenti! Ma il nostro Governo accetta anche gli altri committment posti dall’Unione Europea: affinché l’intervento non si configuri come aiuti di Stato, la banca non potrà usare quelle risorse per fare nuovi investimenti, per acquisizioni, per supportare un vero e proprio rilancio. Al contrario, la banca dovrà assoggettarsi a una severa cura dimagrante, cedere partecipazioni, chiudere sportelli, mandare via dipendenti, azzerare la rete estera. Come è possibile pensare di rilanciare un’azienda, di qualunque settore, a queste condizioni?

Ogni ristrutturazione aziendale deve camminare su due gambe: levare ciò che è di peso e investire in nuovi processi, nuove risorse professionali e tecniche, nell’ingresso in nuovi mercati. Invece si è chiesto a MPS di realizzare un piano di rilancio usando solo il segno meno.

Henry Matisse ha costruito la sua arte nel togliere, Michelangelo si schermiva dai complimenti sulle sue sculture dicendo che aveva “solo tolto lo soverchio” dal blocco di marmo. Ma loro sono artisti grandissimi, e poi mica dovevano gestire una banca! Provate voi a rilanciare un’azienda senza nemmeno poter rinnovare il sistema informativo, che è il cuore di una banca e, di questi tempi, invecchia rapidamente. Provate voi a trattenere i talenti (ce n’erano e ce ne sono) senza poter promettere grandi compensi e senza poter prospettare un percorso di crescita dell’azienda. Insomma, vincere una gara automobilistica usando solo il pedale del freno non si può. E ogni volta che togli qualcosa inevitabilmente impoverisci la banca.

Ecco perché ogni giorno che passava durante questi cinque anni la Banca perdeva qualcosa ed ecco perché è imbarazzante sentire i politici che si svegliano soltanto oggi. E soprattutto ecco come la storia avrebbe potuto essere diversa: se avessimo avuto la forza e la capacità di negoziare committments diversi, non autolesionsti come questi.

Tuttavia MPS oggi ha ancora qualcosa di buono, molto buono. Unicredit prenderà la parte commestibile del boccone, la rete commerciale; Widiba, la banca per la gestione del risparmio, e probabilmente MPS Capital Services, l’eccellente investment bank del Gruppo dedicata con successo alla finanza delle medie imprese e al sostegno del debito pubblico (più volte negli ultimi anni premiata come migliore specialist sui titoli del debito pubblico, lo so perché ne sono stato presidente per oltre tre anni fino all’ottobre scorso).

Non è un regalo a Unicredit, che entra nel gioco obtorto collo, ma l’unica operazione possibile, probabilmente suggellata da un ulteriore sussidio pubblico, sulla falsariga dell’operazione Intesa con le banche venete.

Mi resta qualche dubbio sulla legittimità dello svuotamento della banca originaria, soprattutto rispetto ai creditori e ai numerosi titolari delle numerose cause per danni rivolte alla banca, a cui si sottrarrebbe la materia su cui rivalersi in caso di vittoria. E non ho capito se il marchio, una volta prestigioso, sarà disperso. Ma questi sono dettagli che non interessano ai più e infatti i politici che oggi sollevano tutto questo clamore, non si interrogano al proposito. Forse perché non l’hanno capito.

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