TRIESTE, CAPITALE NO VAX COL CERINO IN MANO

Trieste, ombelico d’Italia. Trieste meravigliosa e discreta. Trieste, dove il tasso di contagio è quattro volte quello del resto della regione. Trieste, che sembrava l’epicentro di una rivolta di massa e che si è ritrovata semideserta, silenziosa, quasi dimenticata. E il povero Puzzer, che a me, personalmente, è simpaticissimo, si è dimesso: probabilmente, dopo aver capito che sull’attaccapanni della ribellione dei portuali, peraltro assai civile, stavano appendendo il cappello in troppi. Tra loro, alcuni soliti noti, del genere di quelli che corrono dove c’è casino, sperando in una foto, una clip o che qualcuno, almeno, offra loro un amaro.

Insomma, la montagna ha partorito un topolino. E mi pare che, in generale, tutto questo cinema messo in piedi dai no-vax continui a partorirne: dai camionisti, che dovevano paralizzare l’Italia, ai camalli, che dovevano mandarla in miseria. Sembrerebbe quasi che le minacciose alzate di testa dei protestanti siano fatte apposta per dare qualcosa di cui chiacchierare alle tricoteuses delle serate televisive.

Di fatto, questi rivoluzionari anti-siringa mi paiono quattro gatti, che si spostano di piazza in piazza, ma che quattro gatti rimangono. E Trieste si becca il covid. Leggero, per fortuna: attenuato, come pare che sia diventato a colpi di arcurate e figliuolate.

Ma fatemi dire qualcosa su questa benedetta vaccinazione. Ormai, anche le betulle e i sanpietrini hanno capito che questo governo, non precisamente audace, non ha voluto rendere il vaccino obbligatorio per paura di dover pagare i danni a quelli cui abbia detto male. E già questo è un comportamento che alimenta e foraggia la paura della gente: se questi non si assumono responsabilità, chissà cosa ci iniettano!

Sorvolo su quei buontemponi che pensano che ci iniettino nanotecnologie o antenne biologiche per il 5G: c’è gente che preferisce Achille Lauro ai Genesis, per cui posso credere a qualunque fenomeno, fisico e metafisico. Parlo della gente comune: le persone mediamente colte, mediamente avvertite e mediamente sensate. Quelli, se tu avessi reso obbligatorio il vaccino da subito, senza troppi tentennamenti, sarebbero andati a vaccinarsi tranquillamente, come hanno sempre fatto.

In fondo, gli Italiani sono un popolo ubbidiente: e questo, a volte, è stata la sua rovina. Invece, con tutta questa manfrina della mancanza di obbligo doppiata da un green pass dichiaratamente pensato per fare vaccinare i riottosi, si è ottenuto il solito caos: incertezza, retropensieri, dubbi, angosce e perplessità.

Ve la dico tutta: io, quando ho fatto la naja, a Merano, mi sono beccato, come tutti i miei commilitoni, una dose da cavallo (anzi, da mulo) di un liquido opalescente e giallognolo, dall’all’aria vagamente minacciosa. Me l’hanno iniettato, non ho mai capito perché, nel petto. Non ho chiesto cosa conteneva la siringona né mi sono domandato se avesse o meno effetti collaterali: ero un alpino e gli alpini non hanno paura. Punto e basta. Per la verità, più che non avere paura, ero del tutto incosciente: tuttavia, dopo due linee di febbre, non mi sono più ammalato per quarant’anni. Tocchiamo ferro.

Quindi, se fosse per me, la finirei con tutte queste fisime: c’è un’epidemia, c’è un vaccino. Vacciniamoci e facciamola finita. L’alternativa è fare come a Trieste: un po’ di chiasso, qualche intervista, e rimanere, alla fine, col cerino in mano. Che è un po’ la fine dei fessi.

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