TRASFERIRE I PROF E FERIRE GLI STUDENTI

Storie banali, in quanto all’ordine del giorno, storie che nessuno conosce se non i diretti interessati e storie che i più considerano irrilevanti e fastidiose, perché i problemi del Paese sono altri. Ma sono altri davvero i problemi del Paese?

Un’insegnante quarantaduenne, supplente e destinata al sostegno in una scuola media di Torino, riferimento ormai da anni per tutta la classe che la apprezza e le è affezionata, vince il concorso e ha cinque giorni di tempo per trasferirsi a Domodossola, tre ore e mezza di treno o due ore in automobile e pazienza, il lavoro è lavoro.

La fatica e il disagio dell’insegnante posso immaginarli e le mando un abbraccio, ma in questa sede, non me ne vorrà, volgo l’attenzione a chi rimane, alle persone che seguiva e alla classe che l’ha accolta, apprezzata e riconosciuta come riferimento importante.

“Quando l’hanno saputo ci siamo messi tutti a piangere, i miei alunni hanno chiesto al preside di farmi restare e una volta capito che non dipendeva da lui, hanno detto di voler scrivere al ministro”, queste le parole dell’insegnante. “Il decreto prevede che, una volta ricevuta l’assegnazione della sede, bisogna lasciare la propria cattedra entro cinque giorni. Ma così si lascia una classe scoperta a quasi metà anno, e i colleghi che erano sui posti riservati ai vincitori adesso si trovano senza lavoro e verranno sostituiti da altri precari chiamati da graduatoria con punteggi più bassi dei loro. Sta succedendo dappertutto”.

Le parole degli alunni sono anche più pesanti, assennate e realistiche. Uno dei ragazzi incornicia la situazione in modo meravigliosamente tragico: “Ma prof, questo è un tradimento”.

L’insegnante sottolinea il fatto che sono ancora troppo piccoli per capire il mondo del lavoro e i meccanismi delle assunzioni, io sottolineo il fatto che non sono ancora grandi abbastanza per piegarsi a una logica folle e disumana. Non sono i piccoli a doversi adattare alla logica degli adulti, dovrebbero essere gli adulti a comprendere la semplice, ovvia, naturale argomentazione dei ragazzi. È un tradimento, dice uno dei ragazzi, e noi adulti ce ne freghiamo, inconsapevoli e impermeabili a un’offesa che dovrebbe invece spingerci a nasconderci e a vergognarci. O almeno a fare qualcosa per cambiare le cose.

E comunque dire che è un tradimento corrisponde al vero, nella scuola come ovunque si parli di relazioni dove le faccende educative si intrecciano con quelle umane. Vale per gli insegnanti, vale per gli assistenti educatori, vale per gli assistenti sociali.

Vale quando dipende dalla squallida burocrazia che impone il cambiamento repentino, vale quando la squallida burocrazia lo consente su richiesta, vale ogni volta che la squallida burocrazia impone la norma e il comma a discapito delle persone e delle relazioni tra le persone.

Insegnanti, educatori, assistenti sociali dovrebbero avere un vincolo di permanenza, un vincolo minimo – diciamo 5 anni? -, a tutela loro e soprattutto a tutela delle persone che sono chiamati ad aiutare. Così non è ed è una vergogna del nostro sistema civile che permette e ammette non sia così.

È un tradimento ci dice quell’adolescente che frequenta la terza media ed è l’onta peggiore, perché vera e perché viene da una persona che da noi si aspetta il buon esempio.

Riceve invece l’esempio opposto, lo comprende e ce lo dice in modo diretto, senza giri di parole, senza freni. Ed è quel che più di ogni cosa dovrebbe ferirci e farci vergognare.Pubblicità

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