TRA RONDE E MARANZA: POVERA MILANO MIA, LA GUERRA E’ SOTTOCASA

Non c’è alcuno spirito di emulazione, non c’è nessun senso di giustizia nemmeno sommaria perché gli aggressori agiscono senza alcuna prova, alcun indizio che l’aggredito sia in qualche modo colpevole di qualche cosa.

Nel 1974 Charles Bronson interpretava – nel “Giustiziere della notte” – un uomo al quale avevano ucciso la moglie e violentato la figlia, e che, di fronte all’impotenza della Polizia, armato di pistola andava a caccia di criminali per conto suo.

Quella storia non c’entra niente con quello che sta accadendo a Milano: Charles Bronson agiva contro qualcuno di cui aveva certezza dei reati. Comunque nella fiction. La mia città è diventata il Bronx d’Italia dove non è possibile passeggiare di giorno o di notte, dove è pericoloso prendere un treno o la metro, dove non si può fare festa a Capodanno senza rischiare di essere stuprati, derubati, picchiati. Nelle scorribande di sangue si alternano ora italiani ora stranieri, una faida senza identità, senza ragione spesso, se non quella della noia, del bullismo, dell’ignoranza. Disarmante vivere in una metropoli occidentale pensando che mentre le grandi potenze si azzuffano per fermare eserciti e terroristi, guerre e genocidi, bastano un marciapiede, una fermata del tram, un giardinetto per rischiare la vita. La guerra è sotto casa, la guerra è dietro ogni angolo.

Così sono nate le “ronde anti maranza”, dove per ronda si intende un gruppo di teppisti incappucciati con il prurito alle mani e maranza sta per emarginato, ragazzo di strada, tamarro, zarro dal dialetto milanese.

I giustizieri in felpa rigorosamente nera si definiscono “Articolo 52”, vanno in giro a cercare presunti mariuoli per riempirli di botte, come è successo sulla Darsena, il naviglio di Porta Ticinese: sere fa questi cowboy del ventunesimo secolo hanno aggredito un ragazzo nordafricano, riprendendo l’agguato con un telefonino.

“Hai rubato una collana!”, gli gridavano. “Non sono stato io, è stato un altro”, replicava terrorizzata la vittima. Nessuna traccia della collana, ma giù calci e pugni senza sosta per poi postare il video sui social con tanto di titolo: “Siamo ronde anti maranza”, appunto, organizzate anche su una chat Telegram dove si può leggere lo “statuto” che regola le loro azioni da belve: “Finché lo Stato, in primis la magistratura corrotta e nemica del popolo, continuerà a ignorare, volutamente, questa situazione, le ronde continueranno e si moltiplicheranno in tutte le zone degradate. Gli adepti al nostro movimento anticrimine aumentano quotidianamente di numero. E si genererà qualcosa che non potrete fermare. Queste bestie se ne fregano della vostra debole e inutile giustizia. Se non c’è un braccio armato di solide manette, la legge rimane lettera morte e vile”.

Per colpire basta un sospetto, un tratto somatico, un abbigliamento fuori posto. Un pretesto qualsiasi. Sul caso indagano le forze dell’ordine, così si legge sui quotidiani e si ascolta dai telegiornali. La distinzione tra vittime e carnefici è l’aspetto più complicato di queste vicende, per cui si può tristemente affermare che, a caccia del branco, si brancola nel buio.

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