TRA HITLER E STALIN, IL TORMENTO DELL’UCRAINA ARRIVA DA LONTANO

Sebbene la guerra in Ucraina duri da oltre un anno e continui a provocare morte e distruzione, è sempre meno visibile sulla nostra stampa, anche per un effetto di assuefazione tanto sbagliato quanto inevitabile. Il terremoto in Turchia e Siria, il festival di Sanremo, le dispute, più o meno significative, dei nostri politici, relegano le vicende ucraine nelle pagine più interne.

Per comprendere meglio la cultura ucraina consiglio il bellissimo libro Babij Jar di Anatolij Kuznecov, pubblicato da Adelphi nel 2019. Babij Jar è un fossato nei pressi di Kiev dove in pochi giorni furono uccisi a bruciapelo 33.000 ebrei e diversi sostenitori del regime russo, quando nel 1941 le armate naziste occuparono la capitale ucraina. La storia è raccontata dal punto di vista dell’autore, allora poco più che un bambino, che descrive nei dettagli come la popolazione fu ridotta alla fame dall’occupazione tedesca e trattata letteralmente peggio delle bestie.

E’ interessante notare come, sebbene il libro racconti prevalentemente le atrocità tedesche, fu ampiamente censurato dalle autorità russe nel dopoguerra, perché anche il comportamento dei russi prima della seconda guerra mondiale non fu particolarmente rispettoso del popolo ucraino. La versione integrale è stata pubblicata solo dopo che l’autore fuggì in Occidente e, nell’edizione italiana, sono messe in parentesi tutte le parti cancellate dalla censura russa, consentendo un raffronto tra l’opera integrale e quella pubblicata in passato nell’Unione sovietica.

Kuznecov osserva come la popolazione ucraina fosse stretta tra due dittature, analogamente sanguinarie, e nel mezzo la povera gente, resa schiava da entrambi. Egli nota che i nazisti raggiunsero livelli di crudeltà impensabili, ma se la prendevano con gli altri, a partire da ebrei e rom. Stalin fu meno scientifico nei suoi sistemi di tortura, ma non si può ignorare che nei gulag siberiani finirono milioni di russi e fu spietato innanzitutto con i connazionali.

Il libro inizia descrivendo come il nonno del protagonista, un contadino poco colto, invocasse l’arrivo dei tedeschi per essere liberati dai corrotti comunisti russi, per il vecchio incapaci di coltivare le terre e pronti solo a porre divieti, anche apparentemente insensati, alla popolazione. Il nonno dovrà presto ricredersi per comprendere che i tedeschi sono ancor peggio dei “pezzenti” russi e porteranno un regime ancora più crudele.

Il libro è l’opera della vita di Kuznecov ed è scritto innanzitutto per denunciare menzogne e malvagità, proclamando la propria rabbia verso chi trasforma il mondo in una prigione. Eppure ci sono pagine di gran vitalità (vi è anche il racconto dei calciatori della Dinamo Kiev che si rifiutarono di perdere contro i calciatori tedeschi e furono per questo condannati a morte, narrato anche in un film recente) e la denuncia delle atrocità delle dittature è rivolta innanzitutto ai più giovani, con l’auspicio che possano vivere in un mondo migliore.

Confesso che il libro mi è capitato tra le mani quasi per caso e nulla conoscevo del suo autore. Tuttavia, la sua lettura è di straordinaria attualità, anche per comprendere da dove proviene l’irriducibile resistenza messa in atto oggi dal popolo ucraino. Infatti, anche la specificità dei crimini nazisti va inquadrata nella storia della popolazione ucraina nel secolo scorso, a partire dagli anni trenta, con la grande carestia imposta dai russi e proseguendo con il regime sovietico dopo la seconda guerra mondiale. Ne è conferma la rimozione assoluta di queste vicende fino agli anni ottanta, tramandate solo dalla memoria popolare, rimozione voluta da Mosca perché erano troppe le zone d’ombra dell’oppressione russa in Ucraina.

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