TOLLERIAMO 152 MILIONI DI SCHIAVI BAMBINI

di LUCA SERAFINI – Tra poco conosceremo i dati del 2020, al momento è noto soltanto il numero delle multe elevate in Italia nel 2019 per sfruttamento del lavoro minorile: appena 243. Un bellissimo risultato se consideriamo che nel 2013 erano stimati in 340.000 (trecentoquarantamila!) i minorenni occupati in maniera – più o soprattutto meno – legale nel nostro Paese.

Non bisogna illudersi, al di là dell’amara ironia, perché il fenomeno non è scomparso, tutt’altro: è in paurosa crescita a causa delle scuole chiuse e dell’ampliamento della fascia di povertà dovuto alla pandemia.
Il problema è che sullo sfruttamento dei minori non esiste monitoraggio e i dati accertati sono pochissimi, per lo più dell’Ispettorato del lavoro, che però non tiene presente le costrizioni sessuali a pagamento, l’accattonaggio e persino l’illegalità, perché qualche bambino viene iniziato dagli adulti a furti e piccole truffe.

L’ultima statistica elaborata in Italia risale a 8 anni fa ad opera della “Fondazione Di Vittorio” e da “Save the children”. Quest’ultima organizzazione ha definito “piccoli schiavi invisibili quei 152 milioni di bambini sparsi per il mondo vittime di sfruttamento, la metà dei quali costretti ad attività ad alto rischio che mettono in pericolo la salute, la sicurezza, lo sviluppo morale e ovviamente psicologico delle creature”.
In Italia ragazzini e ragazzine fanno di norma camerieri o aiuto camerieri, ma anche pulizie, lavapiatti, babysitter, baristi, braccianti, manovali. Qualcuno l’operaio o il venditore ambulante. Ancor più sommersi i mariuoli o gli accattoni, non sempre e non necessariamente appartenenti a famiglie nomadi. “Tribù” di nomadi, potrà correggermi qualcuno, ma la provocazione invece sta proprio in quella parola chiave: famiglia. Perché non è possibile pensare che la mattina un bimbo esca di casa e i genitori pensino che vada a scuola, invece va al lavoro: è chiaro che nella stragrande maggioranza dei casi non solo ne sono al corrente, ma anzi fautori o complici. Non sempre mamma e papà sono in condizioni finanziarie disastrose, non sempre mamma e papà sono disperati: sono semplicemente sfruttatori, noncuranti non solo dei diritti essenziali dei minorenni (istruzione e sano divertimento), ma anche serenità del nucleo, tranquillità psicologica, assenza assoluta di violenze fisiche o mentali.
Siamo il Paese dei mammoni, siamo un Paese cattolico, ma non facciamo eccezione al mercato dei minorenni: princìpi e valori essenziali vanno a farsi friggere di fronte all’avidità e all’egoismo adulto, capaci di cavalcare la paura dei piccoli nel confessare gli abusi perpetrati nei loro confronti e la paura di altri adulti che non denunciano situazioni di cui sono o vengono a conoscenza. L’omertà è alleata con l’insensibile immoralità dei genitori.
Come si può notare, il lavoro di indagine e monitoraggio – per quanto loro consentito – è affidato a Onlus e organizzazioni umanitarie (non tutti sanno che una delle poche cose in cui l’Italia è prima al mondo, è proprio nel numero di enti benefici e di solidarietà): queste si sostituiscono ad attività che lo Stato non è in grado di reggere da solo o, come in questo caso, nemmeno di affrontare ai minimi sindacali.
Sicché sono proprio lo Stato e la famiglia – punti di riferimento per qualsiasi adolescente del mondo – i primi a tradirli, spremerli e dimenticarli, guardandosi bene dal rispettarli e tanto meno dal difenderli.
Non sono padre, sono stato figlio però. Il mio disgusto per questo mondo occulto di miseria umana è scisso dallo stato anagrafico: ribolle nella mia coscienza, la terza grande assente in quelle vergognose, anonime entità, che gestiscono in modo abominevole i ragazzini e che il più delle volte portano il loro stesso cognome.

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